Economia

La Cina strizza l’occhio alla blockchain, ma è una minaccia per il bitcoin

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A cura di Matteo Oddi

Il governo di Pechino continua ad avere un rapporto di amore e odio con l’industria che ruota intorno alle criptovalute e alla blockchain, alternando divieti contro le pratiche speculative (ICO ed exchange in primis) e forti investimenti nella tecnologia del registro distribuito.

“Le contraddizioni interne del capitalismo cinese mettono alla prova l’assioma alla base dei cosiddetti massimalisti di Bitcoin, che vedono la blockchain in un rapporto di sudditanza rispetto all’esistenza e alla ragion d’essere del BTC”, dice in una mail Anatoliy Kyazev di Exante.

Per esempio, di recente la provincia cinese di Hainan ha autorizzato ufficialmente il progetto pilota della prima “zona blockchain” del paese. A riferirlo è l’agenzia di stampa governativa Xinhua. L’esperimento ha luogo presso la Hainan Resort Software Community (RSC), uno spazio dedicato ai progetti tecnologici.

L’obiettivo dichiarato è creare un’infrastruttura specifica per lo sviluppo e l’implementazione della tecnologia alla base delle criptovalute, nella speranza di riunire sotto lo stesso tetto i migliori specialisti nel campo blockchain da tutto il mondo.

Ma le iniziative legate allo sviluppo dell’industria blockchain in Cina non finiscono qui. Il Dragone è infatti uno dei 50 paesi che attualmente stanno studiando l’elaborazione di standard comuni in questo settore. Nel caso cinese, vengono presi di mira in particolare gli smart contract, la privacy e i depositi. Questi primi 3 standard, redatti da associazioni di imprese, vedranno la luce entro la fine dell’anno e faranno da apripista a un sistema che verrà applicato su scala nazionale alla fine del 2019.

“La blockchain viene gradualmente accettata, e sempre più persone cominciano a riconoscerla, investirvi o utilizzarla. Ma, allo stesso tempo, molte persone restano scettiche a riguardo e quindi sono necessari standard internazionali”, ha detto Craig Dunn, presidente del Comitato Tecnico Internazionale di Standardizzazione per la Tecnologia del Registro Distribuito durante una conferenza a Shanghai.

Detto questo, la stessa Cina continua a bannare il trading di criptovalute e potrebbe addirittura causare la fine del fenomeno Bitcoin. Lo pensano così alcuni accademici della Princeton University e della Florida International University, che hanno pubblicato uno studio intitolato “La minaccia incombente della Cina: Un’analisi dell’influenza cinese su Bitcoin”.

Le ragioni principali di questi timori sono tanto ideologiche (“Bitcoin si pone in opposizione ideologica alla filosofia di governo centralizzato della Cina, quindi possono essere motivati a indebolirlo o distruggerlo”) quanto tecniche (tutte insieme le mining pool cinesi potrebbero effettuare un attacco del 51% sulla blockchain di Bitcoin ed eventualmente modificare a piacimento il registro delle transazioni, in caso di successo).