L’attuale espansione economica degli Stati Uniti è iniziata a giugno 2009. Storicamente, la fase espansiva USA più lunga è stata quella che ha coinciso il boom tecnologico degli anni ’90, durata circa 10 anni. I conti, dunque, sono presto fatti: visto che la fase espansiva attuale dura da più di 9 anni, forse è ora di cominciare a riflettere sulla prossima recessione USA.
Proprio a giugno di quest’anno un sondaggio della National Association of Business Economists (NABE) evidenziava crescenti preoccupazioni su un declino della crescita americana. Due terzi degli intervistati, infatti, hanno detto di aspettarsi l’avvio di una fase recessiva verso la fine del 2020, mentre il 18% lo prevedeva per fine 2019. In entrambi i casi, comunque, l’attuale espansione resta destinata a diventare la più lunga della storia americana. Proviamo a verificare quest’ipotesi, analizzando alcuni indicatori.
Una crescita economica ancora solida
Gli intervistati dal NABE sono stati molto meno ottimisti dell’amministrazione Trump. Tramite la riforma fiscale, un ambiente regolamentare più favorevole e un’aggressiva politica commerciale l’attuale amministrazione USA è convinta di poter raggiungere il 3% – e oltre – di crescita reale. Anche se alcuni economisti al momento prevedono una crescita inferiore al 3% per quest’anno e per il prossimo (a causa dell’affievolirsi dello stimolo fiscale e dell’aumentare delle tensioni commerciali), le previsioni sul Pil della Federal Reserve Bank di Atlanta indicando attualmente, per il terzo trimestre, un tasso di crescita annualizzato del 4,1%. L’economia dunque, considerata dal punto di vista del Pil, sembra in salute.
Gli indici anticipatori e il contesto monetario
L’outlook a breve termine dell’economia americana poggia su basi solide. La fiducia dei consumatori resta forte e l’ottimismo delle piccole imprese ha appena toccato il suo record storico. Detto ciò, ci sono oggi forze che potrebbero spingere l’economia verso una recessione? Il grafico in basso mostra il Leading Indicator del Conference Board, che include fattori come l’indice ISM nuovi ordini, le nuove licenze edilizie residenziali, i corsi azionari e la curva dei rendimenti dei Treasury. Il Leading Indicator al momento prevede che l’espansione economica continui e, per dare un reale segnale d’allarme, dovrebbe cambiare direzione e declinare per diversi mesi.
Una fonte di preoccupazione può certamente essere il contesto monetario. Nella nostra analisi, per contesto monetario intendiamo la curva dei rendimenti, il rialzo dei tassi di interesse, la riduzione del bilancio della Fed, i corsi azionari e lo stress finanziario. I primi tre sono potenzialmente i più preoccupanti, mentre l’aumento dei corsi azionari indica un’economia ancora al galoppo. Per quanto riguarda lo stress finanziario, al momento non sembra essere un problema. Vediamo nel dettaglio ognuno di questi fattori.
Il primo grafico in alto mostra la curva dei rendimenti (misurata come differenza tra i tassi dei Treasury a 10 e a 2 anni) e il tasso dei Fed funds, che è stabilito dalla Fed. La curva dei rendimenti si sta appiattendo a mano a mano che il tasso sui Fed funds viene alzato dalla Fed, che procede con la normalizzazione. Il rendimento dei Treasury a due anni riflette proprio questa normalizzazione. Supponendo che la Fed alzi i tassi anche nella prossima riunione, è probabile che la curva dei rendimenti si inverta verso la fine del 2018.
L’inversione attirerebbe di certo l’attenzione dei mercati, perché la curva dei rendimenti ha già provato in più occasioni di saper prevedere le recessioni USA. Il secondo grafico mostra proprio le probabilità di recessione sulla base della curva dei rendimenti, e ci dice appunto che la probabilità di recessione sta aumentando, ma è ancora bassa. Storicamente, però, una probabilità superiore al 20% dovrebbe già cominciare ad impensierire gli investitori.
In più, la Fed sta riducendo il suo bilancio dopo anni di politiche monetarie accomodanti. Anche questa è una fonte di restringimento monetario, perché la riduzione del bilancio riduce anche le riserve in eccesso nel sistema bancario, influenzando negativamente la capacità del sistema bancario di concedere credito. Il carburante di liquidità dell’economia sta quindi diminuendo. E, teniamolo a mente, una politica restrittiva riduce anche l’offerta di dollari, e di conseguenza restringe le condizioni monetarie anche a livello globale.
Un altro fattore che vale la pena tenere in considerazione sono i corsi azionari, e nello specifico l’indice S&P500. Il mercato azionario può realmente darci degli indizi sul percorso futuro dell’economia – nonostante la battuta del Nobel per l’Economia Paul Samuelson, secondo cui il mercato azionario avrebbe previsto ‘nove delle ultime cinque recessioni’. In genere i titoli azionari tendono a raggiungere il picco prima di un declino economico; al momento, però, i corsi azionari non mostrano segni di aver raggiunto il picco massimo. I profitti crescono, e gli investitori sono disposti a pagare di più per ottenere i dividendi.
Tuttavia, i titoli azionari stanno diventando sicuramente meno convenienti, e a un certo punto gli investitori non saranno più disposti a pagare un prezzo maggiore. Ma il fatto che i titoli azionari siano costosi non è un indizio così significativo di un declino in arrivo, né una segnale chiaro di una prossima recessione. Ad oggi i prezzi delle azioni possono ancora salire, ed è probabile che l’economia continuerà ad espandersi.
Infine dobbiamo porci un’ultima domanda: ci sono segnali che il sistema finanziario sia sottoposto ad uno stress crescente? L’indice della Fed di Kansas City sullo stress finanziario – che include 11 variabili calcolate mensilmente – ci dice di no.
Conclusioni
Insomma, cosa ci dice questa panoramica di alcuni degli indicatori di recessione più attendibili? I segnali non sono univoci, ma vanno in favore di una continuazione dell’espansione attuale. Gli indicatori anticipatori ci dicono che l’economia dovrebbe continuare ad espandersi anche per gran parte dell’anno prossimo – come minimo. I corsi azionari confermano quest’ipotesi. E la Fed di Kansas City ci dice che non c’è stress finanziario al momento. Alla luce di questi fattori, è probabile che l’attuale espansione si rivelerà la più lunga nella storia americana. Tuttavia un elemento di preoccupazione c’è, ed è rappresentato dall’appiattirsi della curva dei rendimenti a mano mano che il tasso sui Fed funds viene alzato.
Cosa devono fare allora gli investitori? A nostro parere: non sottovalutare il potere predittivo della curva dei rendimenti, e tenere d’occhio eventuali cambiamenti nei trend di altri indicatori, come un’inversione degli indici anticipatori, una caduta dei corsi azionari o un aumento dello stress finanziario. Ricordando, inoltre, che altri problemi potrebbero arrivare da eventuali errori di politica monetaria da parte della Fed e da una prolungata escalation delle tensioni commerciali tra Usa e Cina, che potrebbe esercitare un crescente impatto negativo sull’economia Usa.