Se una o più agenzie di rating dovessero avvicinare il giudizio sul debito dell’Italia alla soglia non-investment grade, quella cui appartengono i bond-spazzatura, il costo degli interessi di nuova emissione potrebbe lievitare con decisione.
Attualmente il debito a lungo termine dello stato italiano è giudicato BBB, due gradini al di sopra dello spartiacque con i junk bond. Secondo la definizione di Standard & Poor’s, un emittente appartiene a tale giudizio se ha una capacità “adeguata” per assolvere i suoi impegni finanziari anche “condizioni economiche avverse o mutate circostanze potrebbero portare indebolire” tale capacità del committente. Il timore è che la Legge di bilancio possa alterare gli equilibri di spesa pubblica, specialmente nel caso in cui la crescita dovesse risultare inferiore alle attese del governo.
Entro fine mese sono attesi i rating delle due maggiori agenzie, Moody’s, le cui prospettive (outlook) sul debito italiano sono già definite “negative”, e S&P. Nel caso una o entrambe le agenzie optassero per il declassamento l’Italia non finirebbe (ancora) nell’ambito dei bond spazzatura, ma sarebbe lecito aspettarsi una nuova ondata di vendite fondate sul timore che le cose potrebbero peggiorare ulteriormente.
Invece, nel momento in cui il giudizio sul rating dovesse arrivare a BB+ (Baa1, nella scala di Moody’s), un vasto numero di fondi d’investimento il cui mandato è legato all’investimento su bond investment grade sarebbero costretti a vedere il portafoglio di titoli di stato italiani.
Ciò porterebbe a un’ulteriore crescita dei rendimenti e dei costi di finanziamento per lo stato. Ma non è tutto. Le banche italiane, che posseggono una fetta importante del debito pubblico, sconterebbero almeno in due modi la caduta del prezzo dei Btp.
Innanzitutto con un peggioramento del valore del proprio patrimonio che potrebbe minare la stabilità degli istituti più deboli; in più, diverrebbe più costoso per le banche chiedere in prestito liquidità alla Bce, in quanto esse tipicamente (ma non solo) offrono titoli di stato come collaterale. Se questo collaterale perde valore, diventa più costoso chiedere in prestito la stessa somma.
“Nella fase di valutazione delle attività [offerte come collaterale], Banca d’Italia tiene conto del valore di mercato degli asset, diminuito di una certa percentuale denominata haircut. L’haircut dipende dalla qualità del credito e dalla liquidity category in cui ciascun asset viene identificato”, spiegava lo studio sul Collateral management dell’Università Cattolica (Frigerio, Palazzesi, Rajola 2012).
Se i rating sul debito pubblico peggiorano, dunque, sia le nuove spese in deficit dello stato, sia il credito delle banche verso l’economia, rischiano di costare più cari.