Come previsto dai sondaggi, le elezioni di Midterm americane hanno consacrato il ritorno dei Democratici alla Camera, mentre i Repubblicani hanno invece rafforzato la presenza nel Senato.
Ma quali sono le conseguenze di questo risultato sul fronte delle Borse? Difficile prevederlo con certezza. Quello si può fare è considerare quello che è successo nelle passate consultazioni. Per il momento la reazione dell’azionario è positiva, ma secondo numerosi analisti la festa non durerà.
Dal 1946, ci sono state 18 elezioni di metà mandato in Usa. In ciascuna di queste consultazioni, l’azionario ha mostrato un trend in crescita nei successivi dodici mesi dalla data del voto, indipendentemente dai risultati.
In particolare, dal 1946, gli aumenti medi di Wall Street si sono attestati intorno al 17%. Dai loro minimi, le azioni sono balzate a una media del 32% nei successivi 12 mesi. Non solo. Il terzo anno del mandato presidenziale, ovvero quello che parte ora, è storicamente l’anno più forte per i mercati azionari.
Tutto bene dunque almeno sulla carta. Nella realtà sono numerosi gli esperti che vedono la fine del rally di Wall Street.
Fine della corsa a Wall Street?
Tra gli analisti, c’è tuttavia chi considera gli investimenti nella Borsa Usa come la scelta migliore. Tra questi, Talib Sheikh, Head of Strategy, Multi-Asset, di Jupiter AM, che ieri, prima che venissero resi noti i risultati ha dichiarato la sua preferenza per l’azionario d’Oltreoceano.
“Per quanto riguarda il nostro posizionamento, manteniamo un’esposizione agli asset statunitensi – nello specifico nel segmento high yield – dove vediamo poco probabile uno scenario recessivo a breve termine. Per quanto riguarda l’equity, le nostre posizioni sono modeste e continuiamo a preferire un approccio strategico in questa parte del portafoglio sebbene stiamo provando a riposizionarci su alcuni titoli azionari, specialmente quelli US. Rimaniamo cauti sull’area europea, ritenendo che sul medio termine l’economia statunitense e il dollaro USA continueranno a sovraperformare il resto del mondo. L’attuale stretta di liquidità potrebbe inoltre continuare a danneggiare gli asset europei. Le azioni dei mercati emergenti sono state maggiormente svalutate ma – in considerazione delle dinamiche finora illustrate – crediamo sia meglio aspettare livelli migliori per posizionarci”.
Sul fronte valutario, intanto, questa mattina il dollaro perde terreno rispetto a tutte le principali divise. Il movimento del biglietto verde era previsto dagli analisti che, con il Congresso diviso, si aspettano un freno alle misure economiche dell’amministrazione Trump. Il cambio euro/dollaro, che ieri alla chiusura di Wall Street segnava 1,1407, si è spinto nella notte fino a 1,1470 per poi attestarsi a 1,1440.
Il dollaro/yen è in calo a 113,14 dai 113,19 di ieri sera, mentre il cambio dollaro/franco svizzero viaggia a 1,00097 (da 1,0045). Infine il rapporto tra sterlina e dollaro si è portato a 1,3111 da 1,3041.
“Sul breve termine, la sconfitta dei Repubblicani alla Camera dovrebbe aumentare i rischi di volatilità sui mercati, essere negativa per il sentiment e positiva per i tassi dei Bond Usa”, prevede Ed Al-Hussainy, senior rates e currency analyst presso Columbia Threadneedle Investments.
“Andare lunghi sul dollaro e short sui future legati ai Treasuries sono strategie che vengono relativamente messe sotto pressione in queste ore e potrebbero amplificare le oscillazioni a breve termine dei prezzi degli asset di riferimento”.