Mentre nelle ultime settimane il mercato azionario ha continuato a ciondolare in un saliscendi estivo alquanto noioso, su altri mercati si sono svolte battaglie violente e decisamente interessanti che sembrano avere trovato tregua solo alla vigilia di ferragosto.
A causa della propria dimensione assoluta, della recente volatilità dimostrata, e della propria influenza su una economia americana sempre più sensibile ai tassi di interesse e dipendente dal credito, il mercato protagonista della prima battaglia è stato senza dubbio quello dei bond americani. Dopo una settimana di pausa, orchestrata quasi ad arte per poter collocare con serenità $60 miliardi di titoli di stato ($24 miliardi di titoli a 3 anni piazzati martedì 5 agosto, $18 miliardi a 5 anni e $18 a 10 anni venduti rispettivamente mercoledì 6 e giovedì 7), la discesa dei bond aveva ripreso il proprio corso già venerdì 8 per accelerare dopo il meeting del FOMC tenutosi il 12 agosto.
A nostro avviso, leggendo le dichiarazioni che hanno accompagnato la decisione di lasciare i tassi USA invariati, sono risultate chiare due cose:
• la FED non ha la più pallida idea di dove stia andando e cosa stia succedendo all’economia americana;
• soprattutto la FED non ha la più pallida idea di cos’altro fare per stimolare l’economia americana senza causare danni ulteriori a un mercato dei bond già seriamente danneggiato e sempre più sensibile alle politiche monetarie e fiscali.
Sebbene la recente salita dei rendimenti di lungo termine continui ad essere venduta dai media americani come il segnale della ripresa in arrivo, in realtà essa sta spingendo l’attenzione degli osservatori più attenti verso un maggiore monitoraggio dei rischi di credito e di quelli di inflazione.
La propaganda continua finora a ignorare l’aumento del deficit pubblico e soprattutto il debito di sistema, che la breve recessione del 2001 avrebbe dovuto assorbire almeno in parte e che invece lo stimolo monetario ha continuato ad inasprire senza sosta, potrebbe quindi rivelarsi pericolosa non solo per chi aveva fatto il pieno di obbligazioni a lungo termine negli ultimi mesi ma anche per tutti coloro che continuano a credere alla fine del mercato bear del mercato azionario.
Nonostante il rimbalzo dei bond americani avvenuto giovedì 14 agosto (giorno in cui sono girate anche voci di presunti interventi della FED sul mercato del trentennale) sembra avere risolto favorevolmente una situazione che stava assumendo toni piuttosto drammatici (la figura di doppio minimo potrebbe segnare per qualche settimana l’interruzione temporanea del nuovo trend rialzista dei rendimenti), la reazione del mercato dei tassi di interesse alle ultime dichiarazioni della FED ha messo in chiaro altre due cose:
• lo spettro della deflazione che le dichiarazioni del FOMC hanno cercato di far riapparire (come era atteso a supporto della parte lunga della curva) non è più credibile;
• sul mercato dei bond sono in corso dinamiche indubbiamente straordinarie, alimentate dalle strategie di hedging delle agenzie americane che operano nel mercato dei mutui immobiliari, in grado di mettere in difficoltà più d’uno tra i numerosi operatori che speculano sui movimenti della curva dei rendimenti.
Già venerdì primo agosto, sui precedenti minimi dei Treasury, era accaduto qualcosa di cui si è parlato molto poco. Il mercato dei credit spread e degli asset swap si era letteralmente prosciugato. Illiquidità totale prossima al credit crunch. Un tranquillo venerdì di paura come non si vedeva dai tempi della crisi dell’LTCM, tenuto a conoscenza di pochi addetti ai lavori e dimenticato velocemente già lunedì mattina 4 agosto.
La preparazione dell’asta dei $60 miliardi nel 3, 5 e 10 anni richiedeva un ottimo allestimento, miracolosamente riuscito forse anche grazie ad una piccola operazione effettuata sul mercato dell’oro venerdì 1 agosto. Il metallo giallo, lanciato da qualche giorno verso l’importante resistenza dei 365 dollari, era stato abbattuto sulla chiusura, in pochi minuti, di ben 8 dollari.
Ed in effetti, l’altra violenta battaglia in corso nelle prime due settimane di agosto ha avuto luogo proprio sul mercato della reliquia barbarica. Tornato sopra i 365 dollari l’oncia giovedì 14 agosto, il metallo giallo aveva raggiunto una importante resistenza tecnica rotta la quale avrebbe avuto via libera fino verso i 400 dollari. La risoluzione favorevole sul mercato dei bond ha contribuito indubbiamente a contenere le pressioni rialziste del metallo, che negli ultimi due giorni è stato nuovamente respinto verso i 360 dollari.
L’azione recente dell’oro è comunque apprezzabile visto che si è accompagnata a una forza relativa del dollaro sul mercato valutario. In altre parole l’oro si è rafforzato non solo contro il dollaro, ma anche contro le altre principali valute, sganciandosi così dalla stretta relazione che negli ultimi mesi lo aveva legato esclusivamente alla debolezza del biglietto verde.
Rotta la resistenza dei 320 euro, l’oro sembra pronto per superare anche quella dei 44 mila yen. Da un lato il segnale della definitiva entrata nella seconda fase del mercato bull cominciata a fine 2002, dall’altro il segnale inconfutabile che gli operatori continuano a perdere fiducia nelle valute cartacee, inflazionate oltremisura nella lotta senza quartiere alla recessione globale.
Un avvenimento decisamente interessante proprio a cavallo del trentaduesimo anniversario del Dollar Standard Cartaceo: il 15 Agosto 1971 l’amministrazione Nixon sopprimeva la convertibilità tra dollaro e oro aprendo definitivamente la strada alla libera e illimitata inflazione degli aggregati monetari che negli ultimi anni sta trovando una delle proprie peggiori realizzazioni.
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