Multi Asset Team di Unigestion
Per il prossimo anno ci aspettiamo il proseguimento della fase di normalizzazione della politica monetaria, accompagnata da una maggiore volatilità dei mercati che si tradurrà in:
- Una politica monetaria più restrittiva ed una stabilizzazione della crescita economica, ma non in una recessione
- Previsioni di inflazione in crescita a causa dell’aumento dei salari e dei prezzi degli input, a continuazione della tendenza a cui abbiamo assistito nel 2018
- Utili aziendali robusti, nonostante possibili aggiustamenti al ribasso nei mercati dei Paesi sviluppati rispetto alle attuali aspettative
Dal punto di vista dell’asset allocation:
- Le decisioni delle banche centrali modificheranno la dinamica della domanda e dell’offerta nello scenario obbligazionario, costringendo gli investitori a de-sensibilizzare i propri portafogli al rischio di duration
- I rendimenti attesi dalle azioni e dagli asset a rischio rimarranno positivi nel complesso, seppure su livelli più bassi
- Le opportunità di investimento passeranno dall’essere direzionali ad essere maggiormente cross asset e orientate al relative value
Il 2018 si è rivelato un anno di transizione, che possiamo riassumere con la frase “Arrivederci Goldilocks, benvenuta volatilità”. Come ci aspettavamo all’inizio dell’anno, i mercati hanno vissuto episodi di stress più numerosi a causa dell’aumento dei rischi idiosincratici. Che si tratti dei potenziali problemi legati alla guerra commerciale tra USA e Cina, delle tensioni Italia-UE o delle preoccupazioni sui mercati emergenti, la volatilità implicita e realizzata è stata spinta al rialzo per la maggior parte delle asset class. Tuttavia, alcuni fattori positivi della fase Goldilock sono proseguiti quest’anno: la crescita globale è rimasta al di sopra del potenziale e la politica monetaria è stata accomodante nonostante la normalizzazione della Federal Reserve.
Il prossimo anno il panorama sarà probabilmente più difficile, in quanto questi elementi di sostegno si trasformeranno in venti contrari per gli asset orientati alla crescita: per la prima volta dalla grande crisi finanziaria, gli aggregati di bilancio delle banche centrali si ridurranno, spingendo gli investitori in territori sconosciuti, dovendosi riabituare a vivere senza QE.
Inoltre, questa normalizzazione della politica monetaria avverrà in concomitanza con una crescita globale che si stabilizzerà su un livello leggermente al di sotto del suo potenziale, dopo anni di miglioramento ciclico. Ciò solleverà interrogativi sull’età del ciclo e sul livello di redditività. Anche se non prevediamo una recessione nei prossimi trimestri, il nostro indicatore di rischio per il 2019 si è chiaramente spostato in territorio negativo e stiamo quindi preparando i nostri portafogli ad “affrontare la tempesta”.
Tempo di correzioni
La combinazione di salari più elevati, a seguito dell’irrigidimento dei mercati del lavoro, e dell’aumento dei prezzi dei fattori di produzione – come dimostrato nel 2016-2017 dal rimbalzo delle materie prime che risentono dell’andamento congiunturale – ha spinto i prezzi al consumo verso l’alto negli ultimi due anni, facendo salire le previsioni di inflazione. Questa tendenza dovrebbe portare nei prossimi mesi ad un aumento dei rendimenti obbligazionari a lungo termine.
Nell’attuale fase di rialzo dei tassi della Fed, i rendimenti delle obbligazioni statunitensi e canadesi sono in linea con le loro medie storiche, ma i rendimenti di Gilt e Bund sono diminuiti, in contrasto con il loro andamento storico. Anche se l’incertezza creata da Brexit e dalla situazione italiana può spiegare questo ritardo nella normalizzazione dei tassi, siamo tuttavia convinti che alcuni aggiustamenti si renderanno necessari, e ci aspettiamo che la BCE aumenti i tassi nel 2019, dopo la conclusione del QE nel 2018. D’altro canto ci aspettiamo anche che la BoE normalizzi la propria politica monetaria, dopo il completamento di Brexit.
La combinazione di tassi d’interesse e costi di produzione più elevati, come conseguenza della crescita salariale dovrebbe pesare sulla redditività delle imprese. Come illustrato in precedenza – e come ci si aspetterebbe – i margini di profitto delle imprese statunitensi sono storicamente correlati negativamente alla crescita dei salari. Con un aumento di circa il 3,5% su base annua, tornato ai livelli pre-crisi, ci aspettiamo che questa tendenza eserciti una pressione sui margini e incida sulla redditività.
Le attuali aspettative degli analisti in merito all’aumento degli utili statunitensi nel 2019 si aggirano intorno all’8%, il che sembra ottimistico, dato che la loro crescita media annuale dal 1980 è stata del 7%. È altresì chiara la tendenza degli analisti di rivedere le loro previsioni al ribasso, il che è in genere indice di delusioni per il futuro.
Tuttavia, la situazione non è omogenea in tutti i Paesi. La necessità di adeguamenti al ribasso si riscontra soprattutto nelle economie sviluppate – come Stati Uniti, Europa e Giappone – che nel 2019 dovranno affrontare tassi d’interesse e costi più elevati, oltre ad una crescita nominale più contenuta. D’altro canto, l’attuale pricing associato alla crescita piatta degli utili nei mercati emergenti ci sembra troppo pessimista, dato che l’aumento medio del Pil nominale rimarrà probabilmente superiore al 6% per la maggior parte di queste economie. Inoltre il deprezzamento delle valute rispetto a quelle dei mercati sviluppati ha ripristinato una certa flessibilità nei margini di profitto.
Non sfidare la Fed (o qualsiasi altra banca centrale)
Questo noto detto non è mai stato così vero come nell’ultimo decennio. Gli operatori di mercato hanno sempre sottovalutato le banche centrali in merito alla loro capacità di spingere i tassi sempre più in basso e, più recentemente, sulla loro volontà di riportarli a livelli più neutri, se non “normali”. Sbagliare sulla prima parte ha significato perdere gli investitori lungo il rally dei mercati obbligazionari. Ma sbagliare sulla seconda significherà incidere – in via diretta – negativamente sui portafogli mentre i tassi di interesse aumentano e – in via indiretta – attraverso la rimozione di un’ampia liquidità e la fine della maggior propensione ad assumersi dei rischi.
Il 2018 è stato un anno di transizione in termini di decisioni delle banche centrali, dalla fine del QE in Europa al graduale aumento dei tassi nel Regno Unito o in Canada, alla combinazione data da deflussi di bilancio e forte aumento dei tassi negli Stati Uniti. Il 2019 vedrà la sincronizzazione della stretta da parte delle principali banche centrali e l’inizio di una riduzione globale dei bilanci. Questo modificherà la meccanica della domanda e dell’offerta nel settore obbligazionario, spingendo gli investitori alla necessità di dover de-sensibilizzare i portafogli sul rischio di duration per due ragioni: in primo luogo, i titoli di Stato non offriranno gli stessi livelli di protezione a cui si era abituati quando l’avversione al rischio aumentava e, in secondo luogo, ridurranno la performance più del solito con l’aumentare della propensione al rischio.
Il rischio di recessione rimarrà basso, ma il premio di crescita si dovrebbe ridurre
Parlando di economia reale, ci sono due elementi su cui rimanere sempre focalizzati: livello e dinamica. Anche se non c’è motivo di temere una recessione nel 2019, la decelerazione osservata nel nostro Nowcaster (si veda grafico sotto) è stata chiara per tutto l’anno, e il protrarsi di questa dinamica ridurrà la crescita economica portandola ai livelli potenziali – essendo stata nettamente superiore in precedenza. Non ci aspettiamo però che scenda significativamente al di sotto del potenziale. Di conseguenza ci aspettiamo che i rendimenti attesi delle azioni e degli asset rischiosi nel complesso rimarranno positivi, anche se su livelli più bassi.
La leva finanziaria non è tua amica
Una maggiore volatilità e la correlazione tra cross asset implicano una minore esposizione al mercato.
Il prossimo anno ci aspettiamo un cambiamento delle opportunità di investimento, da un orientamento direzionale ad uno più cross markets/orientato al relative value. La de-sincronizzazione tra e all’interno delle diverse economie sarà la chiave per ottenere risultati positivi. In questo contesto, i mercati emergenti avranno l’opportunità di superare i mercati sviluppati per una serie di fattori, tra cui la maggiore crescita nominale e la stabilizzazione (o indebolimento) del dollaro USA. La sincronizzazione delle misure restrittive di politica monetaria delle banche centrali sarebbe infatti sfavorevole per il dollaro USA, che nel 2018 si è apprezzato rispetto alla maggior parte delle valute.
Infine, non ci aspettiamo che il contesto economico e finanziario complessivo sia sufficientemente di supporto per mantenere costanti i livelli di rischio durante tutto l’anno. Combinando la riduzione della liquidità da parte delle banche centrali di tutto il mondo, il rallentamento della dinamica macroeconomica e l’aumento della volatilità, gli investitori dovranno non solo apportare modifiche all’asset allocation, ma anche adeguare dinamicamente la loro esposizione complessiva al mercato per far fronte a un contesto più sfavorevole e meno accomodante.
Il QE è stato il contesto ideale per aumentare il rischio e la leva finanziaria, ma come l’anno in corso ha iniziato a dimostrare, il quadro sta cambiando. I tassi di interesse ora creano shock piuttosto che fungere da calmanti nelle fasi di avversione al rischio, mentre un’asimmetria sfavorevole nell’asset correlation, riducendo la vulnerabilità del mercato, rappresenterà la chiave del successo degli investimenti nel 2019.