Il 29 marzo 2019 si avvicina: è la data ultima entro la quale il Regno Unito dovrà gettare le basi legali e commerciali per definire il rapporto con l’Unione Europea dopo la Brexit. L’appuntamento non può più essere rimandato e dopo due anni e mezzo di dibattiti accesi e falsità dell’uno e dell’altro campo, per le fazioni pro e contro la Brexit è giunta l’ora di un confronto onesto.
Sebbene la premier britannica Theresa May abbia stretto un accordo con l’Unione Europeal sui rapporti che intercorreranno tra le due parti dopo la Brexit, allo stato attuale pare quasi impossibile che ottenga l’approvazione del parlamento la prossima settimana (il 14 gennaio si tiene il voto chiave). L’incertezza ha spinto molte società di servizi finanziari a trasferire le proprie attività nel resto d’Europa. Un rapporto di Ernst & Young parla di 800 miliardi di sterline di capitali in fuga.
May si è data un mese di tempo per darsi maggiori chance ma difficilmente riuscirà a cambiare il corso delle cose. Londra “sembra sempre di più la scelta tra due estremi, e entrambi gli scenari prevedono lo svolgimento di un altro referendum”. A dirlo è l’ex direttore dell’Economist Bill Emmott che sulle pagine di Project Syndacate, enuncia quali sono le due uniche alternative allo stato attuale delle cose.
La prima è un secondo referendum sulla Brexit. L’idea che piace anche ad alcuni deputati dell’ala più moderata del partito conservatore al governo e ad alcuni esponenti dell’Opposizione è che, viste le evidenti difficoltà politiche nel gestire la Brexit (passata peraltro con un margine relativamente ristretto: 51,9% contro 48.1%), è giusto dare ai cittadini la possibilità di decidere se tornare indietro. Specie se le trattative in Parlamento si riveleranno inconcludenti.
In caso di fallimento politico c’è però anche una seconda opzione, se possibile ancora più estrema. Si aprirà in caso di “no-deal”. Senza alcun accordo tra i due blocchi, il governo chiederà al paese di esprimersi per definire i nuovi accordi e rapporti tra le due aree. Il Regno Unito e l’UE si troveranno a dover gestire una situazione caotica, nella quale ci si potrà rifare soltanto a qualche accordo legale minimo.
Secondo l’ala più a destra dei conservatori al governo, sebbene non privo di rischi questo scenario consentirà a Londra di avere accesso a un mercato finalmente del tutto libero dai rigidi vincoli europei. È l’agenda che prediligono i Brexiteers e che dovrebbe spianare la strada a colloqui bilaterali con Stati Uniti, Giappone e Cina per trovare nuovi patti commerciali.
Rottura Regno Unito con addio di Scozia e Irlanda del Nord
In caso di un secondo referendum sulla Brexit dopo quello dall’esito shock di fine giugno 2016 non è detto che il popolo britannico voti per ribaltare quanto deciso tre anni fa. È possibile, stando a quanto indicano gli ultimi sondaggi, ma non è da dare per scontato. Le ultime rivelazioni, secondo cui la maggioranza del popolo voterebbe per restare in UE, sono il risultato della confusione politica totale degli ultimi mesi.
Se l’accordo controverso stretto da May – di cui viene criticata in particolare la parte relativa al backstop sul confine irlandese – viene respinto, i Brexiteers potrebbero, secondo l’illustre editorialista, riuscire a “fare fronte comune intorno a un piano alternativo” di Hard Brexit.
“Chi promuove tuttora con forza la Brexit dovrebbe riconoscere che le sue azioni potrebbero portare alla rottura del Regno Unito, con l’Irlanda del Nord che si troverà a dover scegliere in un referendum se unirsi o meno all’EIRE”.
Un’Irlanda unificata potrebbe spingere anche la Scozia a spezzare i legami con il Regno Unito. Nel 2014 Edimburgo ha votato contro l’indipendenza, ma allora i cittadini che si recarono numerosi alle urne, basarono le loro decisioni sul principio che uscire avrebbe voluto dire anche rinunciare ai vantaggi del mercato unico UE.
Se i sostenitori della linea dura del fronte dei Brexiteers “non sono disposti a fare tutto il possibile per mantenere flessibile il confine tra Ue e Irlanda del Nord, allora devono anche accettare le conseguenze eventuali“. L’Irlanda del Nord sarà chiamata a votare se rimanere nel Regno Unito oppure se unificare le due Irlande, tenendo ben presente che l’EIRE è un membro dell’UE e dell’area euro.