Quando la Russia ha liquidato quasi tutti i Treasuries Usa in suo possesso tra la primavera e l’estate del 2018 ci si è subito chiesti cosa sarebbe stato fatto dei 100 miliardi di dollari di ricavato. Non ha sorpreso scoprire nell’autunno dell’anno scorso che il Cremlino ha incrementato l’esposizione all’oro.
Il ministero delle Finanze ha ricevuto anche l’ordine di accumulare yuan, come dimostra l’aumento delle riserve nella moneta cinese (al 14,7%). Ma il presidente Vladimir Putin non si è fermato qui. La Russia ha acquistato un ammontare significativo di divise diverse dal dollaro Usa, tra cui l’euro (percentuale delle riserve salita al 32%), la sterlina britannica (6,3%), lo yen giapponese (4,5%), il dollaro canadese (2,34%) e il dollaro australiano (1%).
L’ultimo pezzo mancante del puzzle del ricollocamento massiccio degli investimenti russi potrebbe riguardare il Bitcoin. Stando a quanto risulta al Telegraph, con l’obiettivo di aggirare le sanzioni Usa contro le sue aziende e attività, Mosca ha allo studio un investimento nella crypto più capitalizzata e popolare al mondo. Lo ha riferito al quotidiano un economista russo vicino al Cremlino.
Secondo Vladislav Ginko, dell’Accademia Presidenziale Russia dell’Economia Nazionale e della Pubblica Amministrazione, per minimizzare l’impatto delle misure coercitive del governo Trump che hanno indebolito il rublo, il Bitcoin andrebbe a sostituire parte delle riserve rimanenti in dollari già a partire da questo febbraio.
La decisione di de-dollarizzare i propri investimenti – spiega Ginko – sarebbe una mossa volta a “proteggere gli interessi nazionali” anche in vista della “possibilità che vengano interrotti i pagamenti americani per il gas e il petrolio della Russia”.
L’investimento in Bitcoin potrebbe raggiungere i $10 miliardi, un valore che spedirebbe in orbita il prezzo della moneta digitale, che a parte qualche timido rimbalzo come quello di ieri attraversa da un anno un periodo molto difficile.
L’iniziativa ricorda da vicina quella del Venezuela, che per aggirare a sua volta le sanzioni americane aveva lanciato una cripto nazionale legata al petrolio (il famigerato petro) diventato suo malgrado un hub del mining di criptovalute.