Società

L’era del capitalismo di sorveglianza dove “lo scopo è automizzarci” tutti

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Per l’importanza è stato messo da alcuni critici sullo stesso piano del Capitale di Karl Marx o di quello in chiave moderna di Thomas Piketty. Il saggio della professoressa di Harvard Shoshana Zuboff in cui viene teorizzato il “capitalismo di sorveglianza” presenta una visione della società distopica, purtroppo assolutamente attuale e non futuristica.

Nel libro vengono descritti i metodi di “sorveglianza” di Google, Facebook e gli altri colossi dell’hi-tech e si evince che nell’era del “capitalismo digitale” in cui viviamo convivono la sorveglianza di Stato e la controparte capitalista. Questo fa sì che i cittadini possano essere suddivisi in due grandi classi sociali: gli osservati e coloro che osservano, che sono entità invisibili.

L’obiettivo finale dei grandi gruppi e multinazionali del mondo digitale è quello di “automizzarci” tutti, ossia riuscire a ridurre la nostra vita a un grande algoritmo. Il problema non è tanto l’algoritmo in sé, quanto il contesto più ampio in cui questo si inquadra. Che ha gravi conseguenze per la democrazia: la conoscenza si traduce in squilibri di potere e nel capitalismo di sorveglianza i cittadini non possono fare affidamento nemmeno su qualcosa di regolamentato. E questo non è tollerabile, secondo Zuboff.

Il “capitalismo di sorveglianza“, scrive Zuboff, “prevede che l’esperienza umana equivalga a materiale grezzo da tradurre in un insieme di dati comportamentali. Anche se alcuni dei dati sono applicati per migliorare i servizi, il resto è dichiarato come un surplus comportamentale e utilizzato per processi manifatturieri avanzati noti come ‘machine intelligence’ e fabbricati poi in prodotti in grado di prevedere e anticipare quello che faremo prima o poi“.

Come avviene nei mercati finanziari, questi prodotti vengono scambiati in una nuova forma di mercato che Zuboff chiama “behavioural futures markets“. I capitalisti del mondo contemporaneo in cui siamo tutti sorvegliati si sono arricchiti enormemente grazie a queste operazioni, poiché “molte società investono nei nostri comportamenti futuri”.

“Automizzarci” tutti, senza il nostro consenso

La parte fondamentale del testo e il suo aspetto innovativo non riguarda tanto la natura della tecnologia digitale, quanto piuttosto la descrizione della nuova forma in continuo mutamento del capitalismo, che ha trovato un modo per servirsi delle nuove tecnologie per il suo scopo finale: renderci degli automi, un insieme di dati.

L’offerta di servizi gratuiti a miliardi di persone, consente ai big dell’hi-tech da cui provengono questi servizi di monitorare il comportamento degli utilizzatori e di farlo con un numero impressionante di dettagli, spesso senza il consenso esplicito dell’utente stesso.

Sebbene il modus operandi di Google, Facebook e compagnia sia sotto gli occhi di tutti da tempo, quello che mancava spesso nelle analisi e che invece è presente nell’inchiesta di Zuboff – scrive Il Guardian nella recensione del libro – “è l’intuizione e la capacità di contestualizzarli“, ovvero situarli in un contesto più ampio.

La scrittrice, filosofa e psicologa sociale prova anche a fare qualche previsione, osservando che sebbene la maggior parte di noi pensa di aver a che fare con un mero esperimento per trovare un algoritmo, indecifrabile ai più, in realtà siamo di fronte alla fase finale della lunga evoluzione del capitalismo.

Dalla fabbricazione di prodotti, dalla produzione di massa, passando per il capitalismo manageriale, dei servizi e della finanza, siamo arrivati ora allo “sfruttamento delle previsioni comportamentali, derivato dalla sorveglianza costante degli utenti.

Le informazioni sugli utenti e i dati dei loro comportamenti online sono uno degli asset più preziosi al giorno d’oggi e siamo noi ad avere consegnato le chiavi di accesso a questi beni, senza chiedere nulla in cambio a motori di ricerca e piattaforme social. Quando l’esperto di sicurezza Bruce Schneier ha annunciato che “la sorveglianza è il modello di business di Internet”, stava descrivendo “soltanto una parte di quel mondo su cui Zuboff ci illumina con il suo libro”, commenta John Naughton nella recensione pubblicata sul quotidiano inglese.

Per porre rimedio alle distorsioni che crea questo sistema capitalistico contemporaneo, l’unico modo sarebbe quello di attaccare la radice del problema: l’accumulo implicito di dati.

Tuttavia, spiega la scrittrice, “pretendere privacy dai capitalisti della sorveglianza oppure fare pressioni perché la sorveglianza commerciale su Internet finisca è come chiedere a Henry Ford di rendere ogni Model T a mano o chiedere a una giraffa di accorciarsi il collo. Sono minacce esistenziali che violano il meccanismo di base della sopravvivenza di una entità”.

Ma è il primo passo per una regolamentazione che si è resa ormai indispensabile.