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Il muro al confine: emergenza politica per Trump

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Di Domenico Maceri *

“Potrei costruire il muro in tempi più lunghi. Non avevo bisogno di fare questo”. Così Donald Trump ha cercato di spiegare la sua dichiarazione di emergenza nazionale nel suo tentativo di giustificare la necessità della costruzione del muro al confine col Messico. Gli avversari del presidente hanno subito attaccato facendo giustamente notare che non si tratta di emergenza come spiegano le stesse parole del 45esimo presidente. Un’emergenza richiede azione immediata. Trump ha detto, volontariamente o no, che si potrebbe aspettare e risolvere il problema nel futuro.

Poco importa all’attuale inquilino della Casa Bianca. L’emergenza di cui lui parla esisteva durante la campagna elettorale e secondo lui è continuata anche dopo l’elezione. La questione dell’immigrazione ha portato frutti politici a Trump e lui crede che continuerà a pesare sulla sua rielezione. Basta mantenere il tema caldo per soddisfare i suoi fedelissimi che vedono l’immigrazione come invasione del Paese e fonte di tutti i tipi di crimini citati a nausea da Trump.

Il 45esimo presidente aveva fatto un passo falso con lo shutdown di 35 giorni che non gli aveva fruttato i 5,7 miliardi di dollari richiesti per la costruzione del muro. Lui si era addossato la responsabilità sulla chiusura dei servizi federali ma alla fine ha dovuto cedere, riaprire le porte del governo, e mettere in atto il piano “B”, ossia di dichiarare l’emergenza nazionale per ottenere i fondi e iniziare la costruzione del muro al confine. Trump crede che l’emergenza gli permetterà di utilizzare quasi 6 miliardi di dollari stanziati dal Congresso per programmi specifici e usarli come lui crede.

Muro al confine, 16 Stati Usa contro l’emergenza nazionale

Gli avversari della dichiarazione di emergenza si sono fatti vivi immediatamente. Sedici Stati hanno già denunciato l’amministrazione di Trump. Il 45esimo presidente si aspettava queste denunce e ha già spiegato che dopo alcune possibili decisioni sfavorevoli si arriverà alla Corte Suprema dove lui crede di potere avere la meglio.

Oltre ai grattacapi legali vi sarà opposizione dalla Camera dominata dai democratici. Secondo la legge delle dichiarazioni di emergenza il Congresso può intervenire e bloccarle se considerate abusi di potere del presidente. Nancy Pelosi, la speaker, otterrà il supporto dei parlamentari democratici ai quali si aggiungerebbero anche alcuni repubblicani. Entro due settimane il Senato per legge dovrà esprimersi anche mettendo Mitch McConnell, il presidente repubblicano della Camera alta, nella difficile situazione di ribaltare il voto di Pelosi e i democratici.

Il voto sulla legalità dell’emergenza di Trump metterà nei guai i 22 senatori senatori che devono correre per la rielezione nel 2020. Alcuni fra i più noti includono Thom Tillis (North Carolina), John Cornyn (Texas), Martha McSally (Arizona), e Tom Cotton (Arkansas). Votare contro Trump potrebbe significare il mancato supporto del presidente e la possibilità che lui incoraggi qualcuno più fedele a sfidare queste senatori nelle primarie.

Migranti fermati al confine ai minimi in 10 anni

Un voto favorevole a Trump potrebbe essere difficile da giustificare per i senatori da Stati al confine col Messico considerando il fatto che il muro non è popolare. Togliere fondi stanziati per le forze armate sarebbe difficile da digerire per ultra conservatori come Cotton che vedono l’indispensabilità delle forze armate come la vera emergenza. Un voto per mantenere la legalità dell’emergenza sarà un vero test per McConnell perché i dati non confermano la necessità di agire.

Parlando con i giornalisti Trump ha cercato di giustificare la sua dichiarazione dicendo di usare tanti tipi di dati. Il problema per lui è che i dati del suo governo ci dicono che il numero dei migranti fermati al confine è ai più bassi livelli in dieci anni. Per quanto riguarda la droga che Trump dice entra dal confine gli esperti del governo sostengono che un muro non risolverebbe il problema poiché la stragrande maggioranza entra nel Paese dai punti di ingresso legali.

La dichiarazione dell’emergenza nazionale ha poco a che vedere con la realtà obiettiva e gli americani lo hanno già capito. Un sondaggio della National Public Radio (NPR) ci informa che la maggioranza non approva la dichiarazione di emergenza di Trump (61 percento no, 39 percento sì) e il 57 percento la vede come abuso dei poteri del presidente.

Trump ha fabbricato una crisi inesistente

Trump in effetti ha fabbricato una crisi inesistente riprendendo la sua retorica anti-immigranti che lo ha aiutato non poco a vincere l’elezione del 2016. Nelle elezioni di midterm del novembre scorso il risultato è stato diverso. L’inquilino della Casa Bianca ha continuato a insistere sull’immigrazione inviando soldati al confine per sottolineare quello che lui vede come crisi senza però ottenere il successo sperato poiché i democratici sono riusciti a conquistare una solida maggioranza alla Camera.

Dopo due anni di presidenza Trump non è riuscito a mantenere la sua promessa fatta in campagna politica sulla costruzione del muro che lui aveva ripetuto sarebbe stato pagato dal Messico. Poi ha cercato di farlo pagare ai contribuenti richiedendo i fondi dal Congresso. Avendo fallito anche in questo tentativo sta cercando di ottenere il suo scopo con la sua dichiarazione di emergenza nazionale.

Non importa se vi riuscirà. Per Trump si tratta di apparire paladino dei suoi fedelissimi, identificando gli immigrati come nemici e tutti gli altri che gli sbarrano il cammino come collaboratori. Questi includono i democratici, ma anche quei repubblicani poco fedeli. Nella campagna politica per la sua rielezione Trump insisterà sull’immigrazione ma ha già cominciato a cambiare la narrativa.

Non si tratta di costruire il muro ma bensì di “finire il muro” poiché la costruzione, secondo Trump, sta avvenendo “mentre noi parliamo”. Quando Trump non ottiene i suoi scopi cambia la narrativa per ricreare un realtà alternativa che gli permette di dichiarare vittoria.

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* Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.