L’Italia da sola non ce la fa. Il mercato interno è debole e la leva fiscale non ha grandi spazi di manovra. Ci saranno miglioramenti nel corso dell’anno ma arriveranno da oltreconfine
L’economia italiana è una delle più a rischio in un contesto di rallentamento globale. Il suo mix di elevato debito pubblico e un rapporto deficit/Pil che potrebbe riportarsi nelle vicinanze del limite del 3% previsto dai Trattati di Maastricht sono delle catene che impediscono di attivare la leva fiscale. È il pensiero espresso da Giancarlo Fragomeno, senior consultant di Valeur Am nel corso di un evento organizzato a Milano da Cfa Society.
La recessione tecnica, ossia due trimestri consecutivi di crescita negativa (il terzo e il quarto del 2018), potrebbe quindi prolungarsi, in mancanza di un traino esterne.
Italia, marce ridotte dalla scarsa competitività
“L’Italia – proseguito Fragomeno – soffre di troppa dipendenza dal commercio estero e continuerà a soffrirne anche in futuro”.
In più c’è il problema della bassa produttività/scarsa competitività:
“In Italia non è cresciuta e gli investimenti oggi sono ancora inferiori del 20% a quelli del 2007”.
La dimensione delle imprese italiane e la loro governance, la qualità del management, la diffusione della digitalizzazione e dell’information technology, il divario Nord-Sud, l’efficienza della pubblica amministrazione, l’apparato giudiziario, l’educazione, la meritocrazia, la quantità e la qualità delle infrastrutture sono tutti segno meno sulla pagella del Belpaese nel confronto con le altre nazioni europee.
“Tutti questi aspetti – chiarisce un’analisi di Associazione Prometeia – rappresentano aree in cui la politica economica dovrebbe intervenire per spingere la crescita economica dell’Italia”.
Senonché gli spazi di manovra sono molto ristretti, come sottolineato da Fragomeno.
I miglioramenti non dipendono dal Belpaese
Dobbiamo rassegnarci a un 2019 grigio o peggio? Non è detto, ma eventuali miglioramenti non dipendono da noi. Spiega Martyn Hole, equity investment director di Capital Group:
“Le politiche fiscali sono diventate meno restrittive un po’ ovunque, i prezzi del petrolio sono scesi dopo aver sfiorato gli 88 dollari al barile lo scorso ottobre, l’euro continua a essere debole e in Cina il governo sta intervenendo con stimoli fiscali. Tutto questo potrebbe migliorare lo scenario per l’economia globale e quindi anche per l’Italia. Forse c’è stato troppo pessimismo nei mesi passati”.
Il regalo che tutti attendono dovranno però confezionarlo Donald Trump e Xi Jinping, sotto forma di accordo commerciale tra Stati Uniti e Cina.
“Molto dipende da quel confronto – ha puntualizzato Peter Botouharov, vice presidente di T.Rowe Price – e da come finirà”.
“Rimarrà un tema dominante per tutto il 2019 almeno” secondo Dennis Montagna, senior portfolio manager di Credit Suisse Am “anche se prima o poi un accordo verrà raggiunto. Lo vogliono tutti e due”.
Guardare ai Paesi più solidi
Fino al raggiungimento di un accordo, tuttavia, per investire bisogna guardare ai Paesi con i consumi interni più solidi, come Spagna, Francia e Irlanda”.
O a quelli che possono utilizzare la leva fiscale, identificati da Fragomeno in Germania, Olanda, Irlanda, Paesi del Nord Europa.
Nonostante siano esposte al commercio internazionale, queste nazioni possono intervenire altrimenti per sostenere la loro economia. Lo farà anche la Germania, spesso accusata di non voler spendere i propri capitali pur necessitando di un profondo rinnovo delle infrastrutture.
“Spenderà – ha continuato – quando la sua crescita diventerà meno forte. Fino a ora non lo ha fatto perché a Berlino non interessa surriscaldare la propria economica”.
Dopo la crescita zero registrata dal Pil tedesco nell’ultimo trimestre del 2018, forse il momento giusto è arrivato.
L’Italia ne beneficerà, ma sempre e solo di riflesso.