Nelle ultime settimane si è tornati a parlare di stagflazione come uno dei possibili scenari economici legati alla possibile frenata dell’economia a causa del conflitto in Ucraina e alla crescente inflazione legata all’impennata dei costi delle materie prime energetiche e alimentari. Ma di cosa si tratta?
La stagflazione è un fenomeno che, in questi anni caratterizzati da una crescita dei prezzi sotto i target, non è stato molto discusso in Europa. La sua definizione è semplice: è la condizione economica nella quale i prezzi tendono ad aumentare, mentre la crescita economica rallenta o e in recessione. Si tratta di uno scenario straordinario in quanto, di norma, la recessione è accompagnata da un raffreddamento dei prezzi; e viceversa.
La popolarità del termine risale agli anni Settanta, quando una serie di circostanze favorirono la comparsa di questo fenomeno. La paternità della “stagflazione”, intesa come parola, è dell’ex Cancelliere dello Scacchiere britannico Iain Macleod, che la utilizzò per la prima volta nel 1965 per definire la situazione economica del Paese (allora, però, faceva parte dell’Opposizione).
Si trattava di un concetto nuovo, in quanto nell’architettura della teoria economia keynesiana, allora dominante, l’inflazione e la stagnazione economica non potevano andare di pari passo. Un altro concetto assai popolare, la curva di Phillips, traccia una relazione inversa fra inflazione e disoccupazione: se quest’ultima tende a scendere, allora il livello dei prezzi dovrebbe aumentare.
Stagflazione: inflazione e recessione in contemporanea
La stagflazione, al contrario, pone il governo di fronte due risultati indesiderati: inflazione e recessione. Se questo scenario si presenta, le difficoltà sono evidenti. Infatti, le politiche che tendono a raffreddare l’inflazione, siano esse monetarie (rialzi dei tassi), o fiscali (austerità), producono risultati negativi per la crescita economica a breve termine. Rinvigorire l’andamento dell’economia, al contrario, sollecita le stesse leve in senso opposto, acuendo l’inflazione.
Negli Anni Settanta (1973-1975) lo choc esterno dei prezzi petroliferi fu fra fattori scatenanti della stagflazione. L’aumento dei costi si trasmise su un’ampia gamma di beni e fu accompagnato da una stagnazione economica quantomai difficile da affrontare. A questo scenario, si accompagnavano le indicizzazioni salariali (“scala mobile”) nate per proteggere il potere d’acquisto dei lavoratori a fronte dell’inflazione. La comparsa di un’inflazione, per così dire, importata dall’estero, innescò con forza la spirale fra prezzi e salari.
L’esperienza storica della stagflazione favorì il credito accademico della teoria monetarista, che, fra le altre cose, suggeriva il superamento delle indicizzazioni salariali e di politiche monetarie orientate solo al controllo della stabilità dei prezzi. Ovvero, all’uso della politica monetaria come stimolo per la produzione.
Effetti negativi delle politiche di bilancio troppo espansive
La stagflazione resta ancora attuale in alcune economie che, al di là degli choc esterni, dimostrano come una gestione eccessivamente espansiva del bilancio pubblico e della politica monetaria possa sortire effetti negativi. In questo caso, è emblematica la stagflazione in atto in Venezuela (in foto, banconote bolivar ormai divenute elementi decorativi).
Mentre il livello dei prezzi ha raggiunto un incremento percentuale pari a 10.000.000 il tasso di crescita è in territorio negativo sin dal 2014 e tende a peggiorare. Un altro esempio di iperinflazione unita a recessione è quello dello Zimbabwe a inizio Anni Duemila.
All’indomani della crisi del 2008 si temette che le massicce iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali avrebbero potuto innescare, ancora una volta, la stagflazione. Tali paure, però, si rivelarono infondate. Nel caso europeo, forse il più emblematico, le condizioni creditizie ultraespansive hanno lasciato l’inflazione ‘core’ a livelli costantemente più bassi rispetto ai target.