di Maurizio Primanni
La trasparenza sui costi e la volatilità dei mercati spingerà i consulenti finanziari a cambiare la loro offerta, aumentando la presenza di ETF in portafoglio
Il settore dei prodotti passivi continua a crescere e c’è chi sostiene che nell’immediato futuro potrebbe ulteriormente accelerare con risvolti anche nel mondo della consulenza finanziaria. Banche e consulenti non devono vedere questa possibile evoluzione come un rischio, ma un’opportunità per far evolvere le strategie di investimento e migliorare la creazione di valore verso i clienti.
Vanguard sbarca in Italia
Il gigante dell’asset management, secondo per dimensioni a livello mondiale solo a Blackrock, sta sbarcando in Italia per offrire i propri prodotti passivi, principalmente gli ETF, molto meno costosi e quindi più vantaggiosi per i clienti ma anche, secondo alcuni, più rischiosi rispetto ai tradizionali prodotti di investimento a gestione attiva. Una vicenda non da poco per un Paese come il nostro dove il mercato del risparmio gestito, basato prevalentemente sulla diffusione dei fondi comuni a gestione attiva, ha avuto una crescita impetuosa. Si stima che a livello mondiale nell’ultimo decennio circa 2.000 miliardi di dollari siano passati da fondi attivi a quelli passivi, che pure va detto sono regolamentati dall’ente vigilante europeo: l’Esma (European Securities and Markets Authority).
Più convenienti ma anche più rischiosi?
I prodotti attivi hanno caratteristiche intrinseche che li rendono più costosi di quelli passivi, necessitano di più competenze: dall’analisi dei bilanci, alla valutazione delle prospettive di mercato di ogni azienda, fino alla ricerca di delta tra il valore potenziale di ciascun titolo rispetto al valore espresso dai mercati, soprattutto necessitano di un professionista che sappia elaborare e valutare tutti questi dati e informazioni. L’opposto accade per i prodotti passivi che vengono invece gestiti con l’obiettivo di replicare un indice di mercato e quindi hanno un processo gestionale molto più economico.
Risultano quindi meno costosi per i clienti e conseguentemente dovrebbero consentire di assicurare performance migliori. Ed in effetti numerose analisi condotte negli ultimi dieci anni sulla differenza di performance per il cliente tra prodotti attivi e prodotti passivi hanno dimostrato che solo nel mercato azionario e in casi limitati (circa il 30%) i gestori dei prodotti attivi sono stati in grado di battere le performance registrate dagli ETF.
Va anche considerato però che gli ultimi dieci anni sono stati un periodo di crescita continua dei listini e i prodotti passivi hanno la caratteristica di amplificare i movimenti del mercato. I potenziali rischi sono legati al fatto che potrebbero amplificare le fasi negative dei mercati finanziari, rendendoli più isterici e meno prevedibili, maggiormente influenzati dalle correlazioni intra-settoriali piuttosto che dai fondamentali di ogni singola azienda.
Il vero rischio di tali prodotti è però quello di una generalizzata contrazione della marginalità del settore, dovuta ad un modello di business basato su di un pricing low cost che tra l’altro obbliga i player focalizzati sui prodotti passivi a ricercare il gigantismo dimensionale per inseguire economie di scala o lo sviluppo di prodotti sintetici, che dietro la strategia passiva nascondono investimenti in derivati ad alto rischio per la clientela.
Lo sviluppo degli ETF in Italia
Il settore degli ETF ha raggiunto un patrimonio gestito a livello mondiale di oltre 4.500 miliardi di dollari, mentre in Italia gli asset investiti in tali prodotti hanno raggiunto circa 60 miliardi. La quota investita in prodotti passivi rispetto al totale del mercato non è ancora rilevante, ma il mercato è giovane e i tassi di crescita sono significativi. I ricavi dell’asset management, insieme al contenimento delle perdite dei crediti deteriorati, sono stati i perni su cui si è retto il bilancio delle banche nel periodo successivo alla recente crisi.
Così alla fine del 2012 è iniziato un cammino di espansione che ha portato il patrimonio gestito degli investitori italiani da circa 900 miliardi ai circa 2 mila miliardi attuali. Nel 2018 però dopo un avvio positivo nel mese di gennaio, la raccolta netta ha iniziato per la prima volta a perdere abbrivio per una serie di fattori di ordine sia macro sia relativi alla struttura del mercato.
Guardando al futuro, molti ritengono che gli effetti della Mifid 2 si dispiegheranno soprattutto in termini di sviluppo del mercato degli ETF e in generale delle strategie di investimento basate sull’indicizzazione. Alla base di tali previsioni c’è soprattutto la valutazione di ciò che è accaduto nell’ultimo decennio nel mercato Usa, dove gli ETF sono cresciuti significativamente e costituiscono una quota rilevante del totale della ricchezza finanziaria investita in prodotti di risparmio gestito.
Insegnamenti dagli Usa
Gli Stati Uniti sono il primo Paese dove si sono sviluppati i prodotti passivi e oggi rappresentano circa il 70% degli asset globali investiti in questi prodotti. La loro crescita nell’ultimo decennio è stata impetuosa, la quota investita in prodotti passivi rispetto al totale della ricchezza finanziaria investita in prodotti di risparmio gestito è passata dal 18% del 2007 a circa il 30% nel 2017.
Gli ETF non si sono affermati per un cambiamento di preferenze da parte dei risparmiatori verso i prodotti di investimento, ma per la spinta che hanno dato a tali prodotti i consulenti finanziari. Lo sviluppo delle piattaforme di robo-advisory infatti, le quali hanno cominciato a offrire i medesimi prodotti a gestione attiva che offrivano i consulenti ma ad un prezzo più conveniente per il cliente, ha determinato per i consulenti la necessità di rivedere le loro strutture di pricing al fine di non perdere quote di mercato. I consulenti hanno così cominciato a offrire ETF in combinazione ai classici prodotti a gestione attiva per abbassare i costi e giustificare la remunerazione del loro servizio di consulenza.
È evidente che le condizioni in Italia sono differenti: le piattaforme di robo advisory non sono ancora così diffuse come negli Stati Uniti e il rischio di disintermediazione per consulenti e banche è marginale, tuttavia la trasparenza sui costi dei prodotti e servizi di investimento imposta dalla Mifid 2, la quale dispiegherà i propri effetti nel 2019, potrebbe generare un incremento di interesse proprio verso i prodotti passivi.
Una lezione per banche e consulenti
Lo sviluppo dei prodotti passivi non deve essere però visto da banche e consulenti finanziari necessariamente in termini di contrazione dei margini del settore.
Negli Usa al primo effetto di sostituzione tra prodotti passivi e prodotti attivi sta seguendo una fase di ribilanciamento dei portafogli dove entrambe le categorie si affiancano l’una all’altra per costruire strategie di investimento che aumentano la creazione di valore per il cliente. Questo sviluppo va visto come un’opportunità per banche e consulenti per costruire in futuro portafogli più efficienti, i quali sostituiscano all’attuale mix, che talvolta comprende quote rilevanti mantenute in liquidità o fondi monetari a gestione attiva, composizioni di portafoglio più efficienti e a maggior valore per i clienti.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di febbraio del magazine Wall Street Italia.