ERG e DUP sono due sigle che a molti non diranno nulla, ma corrispondono ai due gruppi parlamentari che oggi impediscono al Regno Unito di avere la Brexit che il governo desidera. O per lo meno quella concordata in un negoziato tirato dalla premier Theresa May, che prevede la promessa da parte dell’Unione Europea a superare il backstop al confine irlandese.
La raccomandazione fatta dai due schieramenti euroscettici ai deputati della Camera dei Comuni che dovranno esprimere il proprio parere in serata è stata quella di respingere il deal della leader dei conservatori, e così è stato. Con 391 voti contro e 242 a favore, il parlamento ha respinto il piano che May era riuscita a strappare al presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker e Michel Barnier, capo dei negoziatori Ue sulla Brexit.
Il testo prevedeva delle modifiche all’accordo (Withdrawal Agreement) firmato a dicembre con l’UE. Tuttavia queste non sono state ritenute sufficienti dal pannello di esperti dell’European Research Group e dal partito nordirlandese alleato della coalizione di governo.
L’UE aveva promesso che avrebbe lasciato aperta la porta a una rinegoziazione degli accordi durante il periodo di transizione, per evitare che Londra rimanga intrappolata nel backstop irlandese. Ma sotto il profilo giuridico e del diritto, l’impegno scritto preso dall’UE non è vincolante. Lo ha detto il procuratore generale Geoffrey Cox, assoldato dal governo per dare consulenza legale alle autorità inglesi nelle trattative con l’Europa. Secondo lui dal punto di vista dei rischi legali sul backstop, dunque, “non cambia nulla”.
Rischio legale backstop invariato, ERG e DUP votano contro
Cox ha così di fatto sminuito il lavoro di May e bocciato l’efficacia del suo piano. Per backstop si intende una rete di protezione, un meccanismo per garantire un confine morbido tra le due Irlande, evitando una dogana “fisica” interna all’isola irlandese, che creerebbe tanti problemi logistici, legali e commerciali a Ue e Regno Unito.
Ma è proprio la presenza di una concessione simile fatta all’UE da parte del governo britannico, che prevede che Belfast rispetti l’unione doganale e abbia accesso al mercato comune europeo, che i Brexiteer più convinti – appartenenti al gruppo politico conservatore European Research Group (ERG) – e il partito nordirlandese di destra (DUP) rinnegano.
Almeno 12 parlamentari conservatori che avevano votato contro May a gennaio hanno detto che avrebbero appoggiato i piani della leader britannica oggi. Ciononostante i numeri si sapeva che sarebbero stati insufficienti. I Labouristi all’Opposizione avevano preannunciato che avrebbero votato contro. A opporsi sono stati anche i membri dell’ala più radicale del partito dei Tories (ERG) e i dieci deputati del Partito Unionista Democratico (DUP). Durante il dibattito in aula i due schieramenti hanno fatto sapere al governo May che non potevano votare a favore del suo piano.
Tre ipotesi rimanenti: no deal o rinvio articolo 50 le più probabili
Eliminato lo scenario più probabile, quello del “Brexit deal“, dato dagli analisti all’incirca al 50%, ora delle tre opzioni ne restano solo due. Un rinvio dell’attivazione dell’articolo 50 per dare più tempo alle due parti di negoziare meglio le specifiche del backstop, oppure sarà no deal.
Su quest’ultima ipotesi si voterà il 13 marzo. Lo scenario sarebbe “disastroso” economicamente e politicamente per i britannici, sotto tanti punti di vista. Se Londra non passa neanche questo scoglio parlamentare, il 14 marzo la Camera dei Comuni si esprimerà sulla proposta di slittamento della Brexit, la cui deadline è prevista per il 29 marzo. In questo caso secondo Amundi il mercato tirerebbe un sospiro di sollievo parziale, ma ci sarebbe ancora “incertezza fino alla nuova scadenza“.
In ogni caso non ci saranno altre trattative. Una terza opzione è chiaramente quella di revocare l’articolo 50. Ma è altamente probabile che questo accada, e infatti gli analisti e le banche nemmeno la scontano nei vari scenari. Stando alle previsioni di Amundi nel caso di un no deal “non prezzato dal mercato”, l’impatto sarebbe “negativo per le azioni dei paesi dell’Unione Europea e per la sterlina”.