Ha sempre avuto la cucina nel sangue, ma si reinventa ogni giorno. Il suo piatto preferito, da vero palermitano, è semplice: spaghetti con olio e formaggio
A cura di Margherita Calabi
Deciso, determinato, positivo e, da palermitano doc, mai soddisfatto. Nella sua carriera Filippo La Mantia ha conosciuto i più grandi personaggi, inclusi John Travolta, Bill Gates, Rupert Murdoch e la Regina Rania di Giordania. Ha sempre avuto la cucina nel sangue, ma si reinventa ogni giorno. Oggi sogna Los Angeles e si dedica a un progetto a Venezia.
Wall Street Italia lo ha incontrato nel suo ristorante milanese, una delle mete preferite degli uomini d’affari. Lo chef La Mantia si racconta.
Lo chef Filippo La Mantia
Ha costruito il suo successo da autodidatta. Come ha avuto inizio il tutto?
“Ho sempre amato cucinare, fin da piccolo. I miei amici ancora oggi ricordano che facevo grandi spese, cercando i cibi più sfiziosi. Era una questione culturale: sono cresciuto in una famiglia che ha fondato la convivialità intorno alla tavola, al cibo e ho incamerato queste nozioni. C’è sempre stata un’aura di tradizione intorno a me. L’esperienza mi ha portato ad apprezzare ancora di più il cibo perché mi ricordava la famiglia”.
Si è sempre messo in discussione. Oggi è uno degli chef più famosi in Italia. Come si definisce? E come definisce la sua cucina?
“Sono una persona che deve ricominciare ogni giorno da capo. Non mi cullo su quello che ho fatto ieri, sui risultati ottenuti, sui complimenti e sulle critiche ricevute. Per me ogni giorno è come se fosse il primo. Mi reinvento ogni mattina”.
Nei suoi piatti ha bandito aglio e cipolla. Perché? Da palermitano, quali sono invece gli ingredienti che preferisce?
“Non ho voluto fare un’eliminazione meditata, l’ho fatto semplicemente perché aglio e cipolla non mi piacciono. In questi ultimi anni ho abolito dalla mia cucina i cibi complicati, quelli con grandi strutture e grandi percorsi di ricerca. Più vado avanti e più mi rendo conto che non c’è niente di meglio di uno spaghetto con olio e formaggio. Avere un buon olio è già un ottimo punto di partenza, la pasta la si deve cucinare al dente, il formaggio è a propria scelta. Questi sono tre elementi che si gradiscono davvero: quando ho fame, se penso a questo piatto mi viene l’acquolina in bocca”.
Un’immagine degli interni del ristorante di Filippo La Mantia in piazza Risorgimento a Milano
Molti uomini d’affari si ritrovano al suo ristorante. Chi l’ha colpita di più?
“Stimo molto il finanziere Francesco Micheli perché è una persona semplice, limpida. La gente la riconosco dagli occhi. Micheli ha onestà di pensiero e ha sempre messo a disposizione di tutti quello che ha creato nella sua carriera. Ho avuto l’onore e il piacere di conoscere i più grandi personaggi e di farlo attraverso il cibo. Ci siamo incontrati attraverso un prodotto, un’esperienza semplice: piatti di una cucina di contadini che hanno conquistato persone abituate a poter mangiare di tutto. Da Rania di Giordania a Rupert Murdoch, da Bill Gates a John Travolta… Non ha importanza il cognome, è importante dimostrare che il cibo può essere un passaporto universale per raggiungere qualsiasi meta”.
Chi vorrebbe invece invitare a cena nel suo ristorante?
“L’invito è rivolto sempre a quelli che hanno bisogno: le famiglie, i pensionati, le persone della Caritas e delle associazioni che si occupano di difendere i bambini e gli anziani. Queste sono le mie categorie di riferimento. Quando la gente mi dice: è un onore conoscerla maestro, mi metto a ridere. Dev’essere un onore conoscere l’infermiere del pronto soccorso dell’ospedale di provincia, non Filippo La Mantia”.
Ha avuto molto coraggio nella vita: di lanciarsi, di reinventarsi, di fare sempre del nuovo. La parola coraggio, cosa significa per lei?
“Vuole dire passione. Passione e coraggio vanno di pari passo. La passione ti spinge a fare delle cose talvolta incoscienti e il coraggio è un elemento fondamentale per realizzarle. All’inizio di un progetto non si sa mai come andrà a finire realmente. Oggi molti cuochi sono concentrati più sui loro piatti che sui loro clienti. Se un mio piatto non piace cerco sempre di cambiarlo”.
Come nascono le idee per i suoi piatti? “Le potrei dire che mi vengono in mente mentre guido la mia motocicletta, ma sarebbe una fesseria. Le idee mi vengono in base al momento, a un ricordo legato alla famiglia, a un ingrediente”.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
“Sono stato coinvolto in un progetto meraviglioso a Venezia. All’interno della Fondazione Giorgio Cini, sull’Isola di San Giorgio, aprirà il San Giorgio Caffè Bistrot con FIlippo La Mantia [progetto che la Fondazione Giorgio Cini ha affidato al gruppo fiorentino D’Uva specializzato nella creazione di audioguide, app per smartphone, totem multimediali e servizi museali, ndr]. Un bellissimo luogo, sull’acqua, con le barche a vela davanti a sé. Sarà un progetto legato all’arte, l’unico punto di ristoro a San Giorgio”.
Se dovesse aprire un ristorante all’estero, quale luogo sceglierebbe?
“Los Angeles mi ha sempre affascinato. La mia cucina è molto apprezzata lì. Dovrei però trasferirmi”.
Un’immagine degli interni del ristorante di Filippo La Mantia in piazza Risorgimento a Milano
Quali sono i sogni di Filippo La Mantia?
“Trovare un equilibrio che non credo troverò mai. Sono una persona inquieta, che si crea problemi e sensi di colpa. Ma è una prerogativa dei siciliani: viviamo con il senso di colpa. Ci sentiamo sempre in difetto”.
Se dovesse dare un consiglio a un giovane chef?
“Incontro ogni giorno molti cuochi negli istituti alberghieri. Come per tutte le professioni, sono necessari tanto impegno, passione e duro lavoro. Non si può fare il cuoco perché lo si è visto in televisione. Bisogna crederci davvero”.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di marzo del magazine Wall Street Italia.