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Quota 100, ex consulente Lega: costerà 30-33 miliardi

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Tra mancato flusso di contributi in entrata nella casse dell’Inps e maggiori spese per le prestazioni anticipate, si può stimare un costo totale dell’operazione attorno ai 30-33 miliardi, più del doppio rispetto alle stime. Sono i calcoli di Alberto Brambilla, ex consulente della Lega, che sulle pagine del Corriere della Sera ha criticato la riforma delle pensioni del governo che batte bandiera giallo verde.

“Ipotizzando 300 mila persone che approfittino di quota 100 nel triennio con durate medie dell’anticipo tra i 4,5 anni e un anno e mezzo”, viene fuori una cifra elevata, che andrebbe a pesare sulle casse statali. Porterà insomma secondo le critiche a una maggiore spesa corrente e un tasso di partecipazione alla forza lavoro inferiore.

I numeri – spiega Brambilla, presidente del Centro Studi Itinerari Previdenziali che ha aiutato in passato il partito di destra proprio in ambito pensionistico – tengono conto di altre due opportunità concesse a chi vuole lasciare in anticipo il lavoro. Ossia l’opzione donna e la possibilità di lasciare il mondo del lavoro con 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne.

Quella di Brambilla, secondo il gestore di portafoglio e analista macro economico Mario Seminerio, è un’analisi che conferma come anche Quota 100 come il reddito di cittadinanza, “si risolverà in un danno di lungo periodo per casse pubbliche e contribuenti”.

Quota 100 potrebbe costare più del doppio delle stime Upb

Smontare pezzo dopo pezzo la Riforma Fornero è stato fin dall’inizio dell’esperienza di governo uno dei punti di incontro tra MoVimento 5 Stelle e Lega. La manovra si sapeva che sarebbe stata costosa. Secondo le stime effettuate a novembre 2018 dall’ufficio parlamentare di bilancio aveva stimato a 13 miliardi quota 100, qualora chiunque ne avesse diritto scegliessse di andare in pensione.

Se a fine anno ci saranno circa 250 mila nuovi pensionati, come nell’ipotesi di Brambilla, si avrebbe una diminuzione del quoziente di circa l’1,5%, oltre allo sbilancio finanziario tra maggiori erogazioni pensionistiche e minori contributi.

“La maggior parte dei circa 53.000 lavoratori dipendenti del settore privato che al 21 marzo hanno presentato domanda per quota 100 daranno luogo a pochissimi posti di lavoro per i giovani, forse meno di un 10%. Quanto ai 17.200 autonomi è più facile che, una volta andati in pensione, intesteranno l’attività ai familiari e proseguiranno in «ombra». Molti, soprattutto al Sud, avranno anche diritto all’integrazione al minimo per gli scarsi contributi versati”.

Se si considera, poi, che “gran parte delle domande provengono da aree in cui operano piccole e micro imprese industriali, ma soprattutto di servizi e turismo o nell’agro alimentare, il divieto di cumulo che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto bloccare l’esodo, darà invece luogo ad un incremento del lavoro irregolare”.

“Restano infine i 30.500 dipendenti pubblici che andranno a sguarnire settori vitali come la scuola, la sanità e anche l’Inps: per questi la palla passa al governo. Certo che per fare lavorare i giovani, dover pagare lo stipendio doppio (uno al pensionato e uno al neo assunti) non pare un grande affare tenuto altresì conto della grande perdita di professionalità nel trade-off”.