Due Paesi su cinque, fra quelli a basso reddito pro capite, sono a “elevato rischio di insolvenza finanziaria” a causa del debito: lo afferma il Fondo monetario internazionale, che affronterà la questione nel corso del suo incontro primaverile a Washington. Le proporzioni di questo problema, dal 2013, sono raddoppiate.
Il Fmi non è la sola organizzazione ad aver denunciato l’aggravamento delle condizioni finanziarie dei Paesi in via di sviluppo: secondo il Jubilee Debt Campaign (Jdc) il volume dei pagamenti a fronte dei debiti contratti è raddoppiato dal 2010, fino a raggiungere i massimi livelli successivi al 2005, l’anno in cui un accordo trasversale operò una cancellazione del debito pregresso che gravava su 18 Paesi a basso reddito (in prevalenza africani).
L’aumento della componente di spesa pubblica destinata a pagare gli interessi sul debito, arrivata a superare mediamente il 12% del gettito fiscale, starebbe costringendo i governi a tagli di spesa molto duri.
“La crescente crisi del debito ha bisogno di un’attenzione internazionale urgente. Un primo passo fondamentale è richiedere che tutti i prestiti concessi ai governi siano resi pubblici, consentendo ai parlamenti, ai media e alla società civile di renderli responsabili di fronte a nuovi prestiti”, ha detto Tim Jones, responsabile della Jdc.
Non manca poi una nota critica rivolta proprio alle condotte del Fmi: “Quando si presentano delle crisi, il Fondo monetario internazionale dovrebbe smettere di salvare gli istituti di credito ‘spericolati’, e dovrebbe al contrario ridurre i debiti, in modo che i costi delle crisi siano condivisi tra il mutuatario e il creditore. Troppo spesso, i creditori che hanno contribuito a causare la crisi sono stati salvati, mentre tutti i costi dei prestiti concessi in modo irresponsabile sono a carico delle persone nel paese che prende a prestito”.