Adesso c’è il miracolo giapponese, quello di un grande paese ricco ma malaticcio, che, d’un tratto, cambia umore, appare pieno di voglia di investire e di consumare. E che si mette a correre. Il pil, prodotto interno lordo del Giappone, nel primo trimestre 2004 è aumentato dell’1,4 per cento: su base annua vuol dire più del 5 per cento. Più degli Stati Uniti, che fino a ieri spiegavano ai giapponesi che dovevano fare di più e meglio per uscire dalla recessione, prendendo esempio da loro.
L’esempio, sia pure alla maniera un po’ complicata del Sol Levante, è stato imitato. Il Giappone sta riducendo le tasse, in particolare sui profitti delle imprese, sulle case, sui guadagni di capitale e sugli investimenti (non tutti, ci sono discriminazioni sottili che un liberista occidentale non approverebbe).
Quest’anno gli sgravi fiscali sono 1.500 miliardi di yen, una grossa cifra che, per altro, sul pil di oltre 500 mila miliardi (poco meno di 5 mila miliardi di dollari), è solo uno 0,3 per cento. Ma si sommano ad altre riduzioni e vanno ad aree particolarmente sensibili. Il tasso di interesse della Banca centrale è praticamente 0, essendo, da qualche anno, lo 0,1. Per anni ciò non è servito a smuovere l’investimento, anche perché le banche erano cariche di crediti inesigibili con imprese di varie dimensioni. E i consumatori temevano dei crack, che li avrebbero privati dei posti di lavoro, e non spendevano. C’era anche il timore che il deficit pubblico, circa il 5 per cento del pil, facendo crescere il debito pubblico, generasse future imposte.
Ora il governo, mentre taglia le tasse, riduce anche di più le spese e privatizza l’economia pubblica, con lo slogan più mercato e meno stato. Batti e ribatti, la gente s’è rincuorata. Nel primo trimestre 2004 così gli investimenti privati sono aumentati del 12,7 per cento (rispetto al primo trimestre del 2003) e i consumi delle famiglie del 3 per cento, mentre sono diminuite della stessa percentuale le spese pubbliche per consumi e investimenti. La manovra ha avuto successo perché le esportazioni, favorite dallo yen tenuto basso, sono aumentate del 15 per cento, grazie alla domanda asiatica e degli Usa, ma anche alla competitività del made in Japan.
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