Alla luce dell’accordo raggiunto dalle autorità europee sulla proroga di sei mesi della Brexit, “sembra più probabile l’ipotesi che si vada verso elezioni anticipate come premessa per chiedere agli elettori il mandato per un eventuale secondo referendum”. A dirlo è Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte SIM, in un’intervista a Wall Street Italia.
Questo perché secondo l’analista “gli attuali parlamentari sembrano non vogliano prendersi la responsabilità” di indire il referendum, “dal momento che questo implicherebbe un evidente atto contrario alla volontà popolare emersa dal primo referendum”.
In tutti i casi, sembra che si vada verso una Brexit soft, con ad esempio un compromesso sull’unione doganale, scenario che peraltro i mercati stanno già scontando. In questo caso “l’attenzione si sposterebbe ancora di più su dove già è, ossia la presenza e l’operato delle banche centrali”.
Più in generale, grazie alle strategie accomodanti delle autorità di politica monetaria, secondo lo strategist dovrebbe essere un anno positivo per i mercati, sebbene caratterizzato da rialzi meno intensi di quelli visti a inizio anno.
Hard Brexit avrebbe impatto negativo solo nell’immediato
L’ipotesi pessimista di un “no deal”, quella giudicata da molti economisti e commentatori come un evento “catastrofico” per economia e mercati, al momento sembra scongiurata. Tuttavia, viste le profonde divisioni in seno ai singoli partiti e le difficoltà a trovare una linea comune tra Opposizione e governo May, uno scenario negativo non può essere ancora escluso del tutto.
Se si materializzerà una hard Brexit, ci saranno inevitabilmente conseguenze negative sulla Borsa e sui Btp italiani, secondo l’analista, ma soltanto “nell’immediato”, quando “potrebbero esserci contraccolpi negativi soprattutto per i timori di interruzioni dei sistemi di negoziazioni”.
Tuttavia “poi il tutto potrebbe rientrare”. Questo perché le banche centrali non si farebbero trovare impreparate. Da tempo, infatti, “stanno lavorando su meccanismo di recovery in caso l’hard Brexit si materializzasse”, fa sapere Cesarano.
“I mercati, a differenza di fine 2018, sanno che ora le banche centrali sono di nuovo in campo. Fase di prese di profitto possono esservi, soprattutto in conseguenza di timori che le banche centrali possano fare di meno rispetto a quanto i mercati stessi spingano a fare”.
Detto questo, “l’atteggiamento molto dovish delle banche centrali dovrebbe consentire il rientro di fasi di tensioni, consentendo di avere un anno positivo sui mercati azionari, sebbene con performance inferiori rispetto ai picchi massimi registrati nell’anno”.
Di conseguenza da Intermonte SIM tengono in considerazione la Brexit come “possibile fattore di rischio”, ma dando “più peso alla presenza delle banche centrali”.
Brexit, l’impatto sull’economia e la politica europea
Come ha evidenziato Standard & Poor’s in un report pubblicato di recente, la Brexit è stata un disastro per l’economia britannica. Stando ai calcoli dell’agenzia di rating se al referendum di giugno 2016 l’esito fosse stato diverso, il PIL avrebbe ora 3 punti percentuali in più. Per l’Europa, invece, è più difficile stimare quale sia l’impatto dal punto di vista macro e della fiducia.
La Brexit “tende indubbiamente ad amplificare il clima di timore e di incertezza per il futuro”, osserva Cesarano, “in parte indotto anche dal forte rallentamento emerso nei primi mesi dell’anno che ha portato al forte taglio delle stime recentemente anche da parte del FMI, con una crescita stimata al 3,3%, il livello minimo dalla scorsa crisi finanziaria”.
Per ora la Brexit è stata un flop politico per gli irriducibili dell’European Research Group, il gruppo parlamentare dei conservatori favorevoli a un divorzio netto tra i due blocchi. Sul piano politico, quanto successo negli ultimi due anni nel Regno Unito potrebbe avere delle ramificazioni sulle prossime elezioni europee di fine maggio. Ha dimostrato che non è così facile abbandonare l’Unione Europea e che non è ammissibile un dissenso senza conseguenze.
“Le elezioni di fine maggio potrebbero di fatto confermare l’attuale assetto a livello europeo”, prevede lo strategist. Detto questo, è lecito attendersi qualche cambiamento degli equilibri politici a livello di singoli paesi.
“I risvolti maggiori potrebbero esservi piuttosto a livello nazionale, ivi inclusa la Germania“. Se tutto ciò “dovesse portare a un ripensamento delle attuali politiche fiscali in senso più espansivo“, conclude Cesarano, “potrebbe essere una notizia positiva per i mercati“.