La employee experience è importante tanto quanto la customer experience ma è stata finora trascurata dalle imprese
Un lavoratore felice è un lavoratore produttivo. L’equazione la sanno tutti ma in pochi la risolvono in modo corretto. Secondo una ricerca dell’Università di Warwick avere dipendenti contenti aumenta di venti volte la produttività aziendale. Peccato che secondo la società di analisi Gallup l’87% dei dipendenti non è “ingaggiato”, ossia sufficientemente coinvolto e partecipe (e quindi felice) sul posto di lavoro.
«C’è stato, negli anni più recenti, un generale consenso e una crescente attenzione verso la customer experience, ossia verso chi utilizza i prodotti e i servizi di un’impresa, in altre parole il cliente. Ci si è però dimenticati di chi questi prodotti e servizi li produce. L’esperienza del dipendente (employment experience ndr) è altrettanto importante per il successo finale dell’impresa».
Con queste parole Rosario Sica, fondatore e amministratore delegato di OpenKnowledge, società del gruppo Bip leader in Italia e in Europa in progetti di trasformazione digitale, ha introdotto la decima edizione del Social business forum, intitolata Xperience Obsession e dedicata all’employment experience in un mondo del lavoro coinvolto nella rivoluzione digitale che né il dipendente né gli ambienti di lavoro sono preparati ad accogliere.
Il problema è stato immediatamente inquadrato da Brian Solis, responsabile degli analisti di Altimeter:
«I modelli organizzativi che oggi troviamo nelle aziende sono stati disegnati in un’epoca non digitale e per contesti non digitali. L’errore che in molti casi viene fatto è cercare di innovare questi modelli, adattandoli alla nuova realtà. Non c’è niente di più sbagliato. Bisogna ripensarli completamente. Si tratta infatti di modelli rigidi e poco flessibili, nei quali uscire dagli schemi viene giudicato male e, a volte, punito. L’opposto di quanto necessario oggi per affrontare la rivoluzione digitale».
La conseguenza è un calo della felicità e del coinvolgimento del dipendente.
«Senza una employment experience appagante non si può arrivare a offrire una customer experience soddisfacente»
ha aggiunto Enrico Sassoon, direttore responsabile di Harvard Business Review Italy. Una visione condivisa da Roberto Battaglia, responsabile delle risorse umane Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo:
«Le imprese sono da un lato condannate alla performance, dall’altro legate al “si è sempre fatto così”. Introdurre una dimensione più imprenditoriale, creativa, propositiva, andare oltre le certezze e le sicurezze è un cambiamento fondamentale».
Ma come si fa a introdurre il cambiamento in imprese abituate al “si è sempre fatto così”? Per Battaglia si deve agire su quattro dimensioni: 1) cultura, bisogna riprogettare i comportamenti delle persone; 2) processi, devono essere ridisegnati per essere più efficienti, semplici e produttivi; 3) tecnologie, la loro applicazione rende tutto più rapido; 4) fisicità, ossia gli spazi aziendali che devono dialogare in maniera diversa, molto più aperta rispetto a quanto facevano in passato.
A essere avvantaggiate in questa rivoluzione sono, paradossalmente, le organizzazioni che partono da zero. Spiega Sica:
«Hanno la possibilità di costruire e implementare modelli nuovi. Pensiamo ad AirBnb e Google, ma ce ne sono tante altre. Sono grandi organizzazioni nate digitali, pronte ad affrontare la novità. Una cosa è costruire una casa dalle fondamenta, disegnarla e progettarla come la si vuole, un’altra è mettere le mani su palazzi già costruiti e quindi cambiare qualcosa che si può modificare solo in parte».
L’Italia, come sovente accade, si muove con ritardo. Per Sica
«il cambiamento è partito da un bel po’. L’Italia oggi ne sta subendo l’onda lunga. Sicuramente c’è maggiore consapevolezza rispetto alla disruption portata dalla rivoluzione digitale».
Per le Pmi può essere un’opportunità:
«Oggi le barriere per l’adozione delle ultime tecnologie sono molto basse – conclude Sica -. Per esempio robot e droni solo qualche hanno fa erano accessibili a pochissimi. Adesso c’è una tecnologia, soprattutto con l’avvento del cloud e delle piattaforme digitali, che è facilmente accessibili a tutte le imprese. L’unica barriera all’ingresso è solo il limite posto dalla volontà di cambiare e dalla capacità nell’usare le giuste competenze per implementare il cambiamento».