L’ambito di attenzione in cui si va sviluppando da tempo un ampio confronto su temi legati a tutta l’area dell’intermediazione finanziaria, al ruolo politico e sociale svolto dalla figura del Cf nelle varie articolazioni del rapporto lavorativo legato all’interno del circuito delle reti di collocamento, ha messo in evidenza criticità strutturali e assunto posizioni divergenti da parte di molti stakeholders sulle azioni conseguenti per arginare il fenomeno del ricambio generazionale, ma soprattutto del mantenimento del livello di indipendenza e di soddisfazione economica da parte di molti professionisti .
Sull’argomento di recente è intervenuto con enfasi e con un pizzico di nostalgia l’articolista Luigi dell’Olio (La Repubblica –A&F del 25 marzo 2019) che ha sottolineato come la figura del “Consulente finanziario non è un lavoro per giovani” citando alcuni dati tratti dall’Organismo di tenuta dell’albo (OCF). In particolare le criticità evidenziate nel citato articolo derivano dal fatto che per intraprendere tale attività professionale “si richiede una certa massa critica per essere profittevole”, senza porsi le ragioni oggettive e il problema vero derivante dal modello di struttura con cui si sono mantenuti i vincoli contrattuali (sin dalla nascita della legge sulle Sim del 1991) del rapporto di lavoro con tale figura professionale da parte delle società che ha determinato in via predominante se non “esclusiva” l’applicazione di un contratto agenziale a tutto vantaggio delle stesse società mandanti (Banche e Sim).
Ne è seguito –senza falsi drammi – come a distanza di 30anni il livello anagrafico di tali operatori sia oggi abbondantemente sopra la media dei 50/60 anni (oltre il 47,5% rilevati dal campione) con una ricaduta sulle politiche di recruting che ha fatto esplodere una serie di contraddizioni sottostanti al tipo di strategie delle reti che – in concorrenza tra loro nell’ accaparrarsi i migliori consulenti – ha “bloccato” orizzontalmente il sistema del passaggio generazionale. Un sistema sicuramente premiante per i consulenti che avendo consolidato il proprio portafoglio negli anni seguendo la logica del brand e delle riassegnazioni dei clienti oggi vivono una posizione di vantaggio relativo rispetto a coloro che non sono stati scaltri e furbi e, molto spesso, costretti ad uscire dopo poco tempo per “necessità ” dal circuito della cd promozione finanziaria.
Per obiettività di analisi sul piano storico e con la lente degli strumenti della sociologia critica forse oggi è più che mai necessario – utile allo stesso sistema – parlare anche e “soprattutto” delle cause endogene, delle concause, che hanno portato a tale stasi in cui versa il settore di tutta l’intermediazione finanziaria, creditizia ed assicurativa , circoscrivendo il problema nel quadro più generale delle dinamiche della crisi del mercato del lavoro che ha visto transitare in tutta l’area dell’intermediazione finanziaria, creditizia e/o assicurativa in questi ultimi venticinque anni oltre 600mila figure professionali – a fronte di un organico di appena 30mila operatori qualificati – che prestano consulenza finanziaria.
Consulente finanziario, errore imperdonabile e di miopia politica
Un errore imperdonabile e di “miopia politica” che oggi gli stessi detentori delle politiche gestionali che governano il settore non trovano soluzioni idonee se non dei superficiali atteggiamenti estetici con proposte culturali (tipo corsi di laurea specifici) senza che intacchino la struttura portante del rapporto lavorativo. Molte responsabilità ricadono anche sulle Associazioni datoriali e Organizzazioni di rappresentanza di tali qualifiche che sensim sine sensu non riescono ad arginare tale fenomeno. Anche le Organizzazioni Sindacali del credito in questa fase di rinnovo contrattuale non ritengo siano in grado di affrontare con intelligenza e determinazione tale fenomeno nei confronti delle controparti datoriali.
Altro elemento che “ostacola” tale rinnovamento nel settore si ritiene sia legato alle restrizioni avvenute sul piano normativo, specialmente con la Mifd II che ha imposto nuove e stringenti regole sia sul piano organizzativo, dei controlli di vigilanza prudenziale che dei processi informativi per dare maggiore trasparenza al mercato e sicurezza agli investitori.
Si giustifica così anche in tale quadro problematico come la variabile della produttività in capo ai Cf sia crollata del 23,7% nel 2018. Francesco D’arco di Advisor citando sul sito di Advisoronline ieri i dati dell’Associazione Assoreti nella consueta relazione annuale, ha sintetizzato i vari aspetti (forse abbastanza preoccupanti) dello scenario attuale.
La realtà di oggi in effetti è quella di far fronte al rischio di una “stagnazione prolungata” in cui si assiste passivamente ad un processo di selezione sempre più condizionato dalle logiche del profitto e dai risultati economici della gestione, dimenticando le “variabili interdipendenti” e funzionalmente combinate tra struttura economica, modelli produttivi e commerciali, valori etici e sociali, tecnologia e risorse umane; quest’ultime alla base di ogni relazione significativa che consente il miglioramento delle proprie condizioni di vita e delle classi sociali.
Il consulente finanziario, come individuo e come professionista è stato “sacrificato” alle dure esigenze della logica impersonale del sistema così strutturato: occorre ridare specificità al suo ruolo offrendogli tutti gli strumenti operativi e di garanzie economiche per esercitare dignitosamente la sua professione e questo indipendentemente dalla funzione di Cf per l’offerta fuori sede che come fee only, se non altro per impedire delle scelte – ormai divenute necessarie – verso una forma di consulenza aperta e diretta a cui si stanno abituando i risparmiatori e gli investitori attenti e consapevoli.