Il presidente Usa torna ad attaccare la Fed a parole ma anche passando all’azione. In una mossa volta a minare l’indipendenza di Jerome Powell e dell’autorità che presiede, Donald Trump ha nominato due suoi fedeli alleati alla Fed. Da due anni Trump fa capire di non essere contento delle politiche troppo rigide adottate fino al 2019 dalla banca centrale e lo comunica senza mezzi termini o tanti giri di parole.
Il leader dei Repubblicani ha dichiarato ieri che i rialzi dei tassi di interesse hanno impedito al PIL di raggiungere il 4% e sono costati diverse migliaia di punti all’indice S&P 500. Powell, in realtà, da inizio anno ha assunto un atteggiamento che osservatori e analisti di mercato, tra cui per esempio Mohamed El Erian, chief economic advisor di Allianz, ritengono fin troppo accomodante quest’anno.
Ma per Trump le iniziative della Fed, che fino a fine 2018 ha varato un piano di riduzione graduale del bilancio e di strette monetarie con l’obiettivo di contenere l’inflazione, continuano a essere un freno alla crescita della prima potenza economica mondiale e dei suoi mercati azionari. Secondo lui sono costate alle Borse americane dai 5mila ai 10 mila punti.
L’inquilino della Casa Bianca vorrebbe che Powell iniettasse altro denaro nell’economia, come è stato fatto negli anni della recessione nel 2007-2009.
Draghi preoccupato per la perdita di indipendenza della Fed
Le amministrazioni precedenti in America non si immischiavano nelle azioni di politica monetaria, rispettando l’indipendenza della Fed. Trump, invece, è dal 2017 che critica apertamente l’operato di Powell, da lui scelto per sostituire Janet Yellen. Nel 2015 la Federal Reserve ha varato un piano cosiddetto di Quantitative Tightening per riportare alla normalità le politiche dopo anni di bazooka monetari. Trump ha definito questa politica di normalizzazione “assolutamente nefasta“.
Un mese fa Powll ha tuttavia messo improvvisamente e bruscamente fine a questa strategia. I due candidati controversi scelti per occupare i posti vacanti al board della banca sono Stephen Moore e Herman Cain. Entrambi hanno opinioni politiche chiare e non sembrano intenzionati a rispettare la neutralità che viene richiesta a un istituto come la Fed.
L’indipendenza si può considerare una caratteristica indispensable per assicurare l’efficacia di una politica monetaria. Persino Mario Draghi, il presidente della Bce, è intervenuto sulla questione. Sabato scorso durante una conferenza stampa a Washington ha dichiarato che se la Fed perde la sua indipendenza, la sua politica monetaria ne uscirebbe indebolita.
“Le decisioni di politica monetaria rischiano di basarsi su consigli politici piuttosto che su valutazioni oggettive della situazione economica”, ha sottolineato, facendo capire che quello che sta avvenendo con Trump e le ingerenze nei confronti della Fed è uno sviluppo allarmante.
Il giorno dopo Trump ha scritto su Twitter che “se la Fed avesse fatto correttamente il suo lavoro, cosa che non fa, la Borsa avrebbe guadagnato 5.000, 10.000 punti in più e il PIL avrebbe superato nettamente il 4% anziché il 3%, con un’inflazione pressoché nulla”.