(WSI) – Il G8 comincia «sotto una
buona stella», dice Silvio
Berlusconi. Con la risoluzione
Onu sull’Iraq e la liberazione
degli ostaggi italiani,
come dargli torto. Non altrettanto
può dire, invece,
Giulio Tremonti. Alan
Greenspan ha annunciato
ieri, alla vigilia del summit di
Sea Island, che la Fed è
pronta a rialzare i tassi di interesse.
Il caro petrolio inietta
tossine inflazionistiche
nell’economia americana e
la banca centrale vuole
soffocarle sul nascere. L’era
della moneta facile, dunque,
sta per finire.
Il direttivo della
Fed si riunirà il 29 e 30 di
questo mese e gli operatori
sui mercati si attendono un
aumento del tasso di riferimento
(fermo all’1%)
di almeno un quarto di
punto. Non si tratta di una
svolta drammatica, però
cambia le aspettative degli
investitori e dell’intera economia.
La scelta della Fed
non deriva solo dal balzo del
greggio, ma anche dalla solidità
di una ripresa americana
che ha cominciato a produrre
nuovi posti di lavoro. La jobless recovery, dunque,
è superata e quest’anno si
attendono 2,5 milioni di
nuovi posti di lavoro.
Non è detto che la Bce
segua a ruota la Fed. In fondo,
esiste ancora un differenziale
(il tasso di riferimento
nell’Eurolandia è al 2%).
Ma ieri Jean-Claude Trichet
non ha escluso nessuna possibilità.
In ogni caso, il denaro
diventerà più caro sui
mercati. E ciò avrà un impatto
negativo sull’Italia che
ha un debito pubblico del
106% in parte collocato all’estero.
In sostanza, lo stato
italiano dovrà sborsare di
più per pagare gli interessi.
Ciò graverà sul disavanzo
pubblico. Il buco da tappare
per il 2005 sarà più grande
del previsto e i tagli alle spese
dovranno essere più pesanti
se il governo vuole
mantenere la promessa di ridurre
le tasse e non sforare il
3% nel rapporto deficit pil.
Il ministro dell’economia sostiene
che un compromesso
politico sui tagli e sulle tasse
verrà trovato subito dopo le
elezioni. Finora si sono fatte
solo chiacchiere, quindi
aspettiamo di vedere le cifre.
Ma Tremonti non esclude
a priori che alla fine della
fiera il tetto del 3% verrà
sfondato. Secondo i calcoli
della Banca d’Italia, infatti,
in assenza di correzioni l’indebitamento
netto potrebbe
arrivare al 3,5% del pil.
L’anno prossimo, con il venir
meno di interventi a carattere
temporaneo, il deficit
pubblico sarebbe vicino
al 4%. Per riportarlo sotto il
tetto, sarebbero necessari
tagli a sanità e previdenza
che il governo non vuole (la
riforma delle pensioni, anche
se approvata in tempo,
avrà reali benefici solo in futuro).
Il ministro dell’economia
spera, però, che la commissione
europea accetterà
una deviazione dalla norma
purché sia temporanea e
purché comporti un aumento
della crescita al di là delle
magre previsioni. Due
grandi «se» ai quali oggi se
ne aggiunge un terzo: il rialzo
dei tassi. E’ proprio questa
la variabile più pericolosa.
Perché la Ue potrebbe
chiedere un intervento massiccio
per ridurre il debito
pubblico, alla luce del nuovo
scenario monetario internazionale.
E potrebbero chiederlo
i mercati. Il downgrading
è peggio dell’early warning.
La nostra sovranità
economica è limitata, non
solo e non tanto dall’euro,
ma dalla globalizzazione.
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