L’Italia viaggia in controtendenza rispetto all’Europa sul fronte della spesa pubblica. In attesa che domani le previsioni economiche di primavera della Commissione europea riaccendano il confronto Roma-Bruxelles, il Sole 24 Ore mette a confronto sulla i dati chiave dei conti italiani con quelli degli altri Paesi dell’Eurozona.
Due i risultati principali messi in evidenza nell’articolo firmato da Gianni Trovati:
“La prima – si legge – quest’anno l’Italia, con il finanziamento in deficit per reddito di cittadinanza e quota 100, è andata in decisa controtendenza rispetto agli altri Paesi, aumentando il peso della spesa corrente sul Pil che altrove scende o rimane fermo. La seconda: cambiare rotta non è tra le possibilità della spending review e della “lotta agli sprechi”, eterna bandiera della politica. Perché sulle spese di funzionamento la nostra macchina pubblica è più leggera della media europea, e già quest’anno si è ridotta nonostante i molti problemi del ciclo di spending review. Conseguenza: tagliare la spesa in modo sensibile senza incidere su servizi e prestazioni finanziate dal bilancio pubblico appare oggi praticamente impossibile”.
Entrando nel dettaglio dei numeri,
“La spesa pubblica corrente in Italia vale quest’anno il 45,5% del Pil, con un aumento pari allo 0,7% del prodotto (una dozzina di miliardi abbondanti in valore assoluto) rispetto al 2018. Nello stesso periodo, sia l’Eurozona sia l’area più ampia dell’Unione europea sono andate, piano, in senso contrario, tagliando la spesa di un decimale di Pil. E allargando quindi la distanza rispetto al nostro Paese: nella media dei Paesi dell’euro le uscite correnti sono passate dal 43% al 42,9% del Pil, nell’Unione europea sono arretrate dal 41,7% al 41,6 per cento. Ma c’è di più. Gli ultimi aggiornamenti compiuti con il Def, non ancora recepiti dai database del confronto europeo, dicono che il livello della spesa italiana è anche più alto, al 45,7% del Pil; e che tale rimarrebbe anche l’anno prossimo quando i conti del deficit tornano grazie agli aumenti Iva. Una riduzione comincerebbe a vedersi dal 2021, al 45,4% del Pil: a patto però di centrare almeno la crescita tendenziale dello 0,6% nel 2020 e dello 0,7% nel 2021″.