I nuovi Pir, Piani individuali di risparmio, sono ai nastri di partenza dopo la pubblicazione in Gazzetta del decreto. La norma prevede che i fondi comuni di nuova costituzione investano il 3,5% della raccolta in Pmi, quotate o no, e in venture capital. E per il 70% del valore complessivo dei Pir, di investire il 5% in strumenti finanziari emessi da Pmi ammissibili e scambiate su sistemi multilaterali di negoziazione. Un altro 5% in venture capital.
Il provvedimento ha però suscitato le perplessità degli esperti per quanto riguarda le garanzie di conservazione del capitale. Da qui è arrivato anche un allarme della Banca d’Italia, secondo cui le nuove regole “aumentano il profilo di rischio dei Pir.
I Pir sono strumenti di risparmio rivolti alle famiglie, ma i nuovi strumenti “possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti prudenziali di diversificazione e di liquidità previsti per i fondi Pir esistenti, tutti costituiti nella forma di fondi aperti”.
Secondo via Nazionale, si corre il pericolo “che i fondi registrino perdite derivanti da vendite di attività in mercati poco liquidi a fronte di episodi di forte volatilità dei corsi che inducano i sottoscrittori a liquidare l’investimento prima di conseguire il beneficio fiscale.
Tali perdite, continua Bankitalia nella sua rilevazione, “potrebbero riflettersi negativamente sui risultati dei Pir e sulla reputazione degli intermediari che li promuovono. Proprio al fine di limitare questi rischi gli investimenti dei fondi aperti italiani in titoli di Pmi italiane e in fondi di venture capital sono attualmente pressoché nulli”.
“Quasi metà titoli non ha registrato scambi”
“Alla fine del 2018 all’Alternative Investment Market (AIM) di Borsa italiana erano quotati poco più di 60 titoli emessi da Pmi italiane non finanziarie, con una capitalizzazione complessiva di circa 3 miliardi e un flottante medio del 30 per cento. Lo scorso anno quasi la metà di questi titoli non ha registrato scambi per almeno un quarto dei giorni di contrattazione”, avvisa Bankitalia.
Anche per il venture capital permangono i dubbi. “In Italia operano inoltre poco più di 30 fondi di venture capital di diritto italiano con un patrimonio complessivo di circa 500 milioni e solo alcuni di questi hanno caratteristiche in linea con i requisiti della nuova normativa sui Pir”, ricorda via Nazionale.
I fondi di venture capital “sono strumenti sostanzialmente illiquidi“. Per questo di norma sono riservati alla clientela professionale. Bankitalia spiega che si tratta di “istituiti obbligatoriamente in forma chiusa e non ammettono pertanto la possibilità di rimborsi anticipati; la valutazione del loro portafoglio avviene di norma solo semestralmente”.