Il settore dell’asset management ha visto nel 2018 un intenso processo di fusioni e acquisizioni che possono essere lette, secondo vari analisti, come la reazione verso un ecosistema sempre più competitivo che subisce forti pressioni al ribasso sulle tariffe. La più grande fra le operazioni di M&A del settore, l’anno scorso, è stata l’acquisizione di OppenheimerFunds da parte di Invesco e proveniente da MassMutual: un conto da 5,7 miliardi di dollari. Secondo la società di consulenza finanziaria statunitense Mercer, nel 12 mesi conclusi lo scorso marzo il volume delle operazioni M&A nel settore della gestione patrimoniale è in crescita del 35% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Lo scorso anno sarebbero passati di mano 3.700 miliardi di dollari in gestione, in seguito alle operazioni di M&A sperimentate dal mondo del risparmio gestito. Un trend che dovrebbe protrarsi anche per tutto il 2019.
“Il settore si consoliderà e produrrà un numero molto minore di gestori per gli investimenti di dimensioni molto più grandi: mi aspetto che quest’anno ciò avvenga ancor di più”, ha detto a InvestmentWeek, Barber Din, partner di Deloitte.
A sentire la pressione saranno soprattutto i fondi boutique, il cui modello d’affari consiste nell’offerta di investimenti destinati a specifiche nicchie di clientela. Le piccole dimensioni di questi attori comporteranno maggiori difficoltà di adattamento verso la direzione intrapresa dal settore, “considerando il costo e la complessità associati alla gestione patrimoniale, nonché il continuo drastico abbassamento delle commissioni “, ha spiegato il Cio di St James’s Place Wealth Management, Chris Ralph. Le società “sentono il bisogno di essere gestori patrimoniali di grosse dimensioni di questi tempi, per sopravvivere e prosperare”, vista la riduzione dei margini di profitto. “Essere sotto l’ombrello di una grande organizzazione permetterebbe” alle boutique firm “di condividere parte dei loro costi futuri”.
Leigh Himsworth gestore del fondo UK Opportunities di Fidelity, concorda sul fatto che gestori di fondi boutique dovranno dimostrare sempre di più il loro valore per sopravvivere in un ambiente consolidato: “C’è spazio per tutti gli attori del settore, ma ora questi fondi boutique più piccoli dovranno davvero sottolineare il fatto che esiste un motivo che giustifichi la loro esistenza – ovvero una certa specializzazione. In definitiva, si tratta di rimanere appropriati per l’investitore finale”.
Le economie di scala possono essere una risposta, insomma, alla pressione sulle tariffe, conferma il cio di Morningstar Investment Management, Dan Kemp: “E’ un bene per l’investitore finale, ma se le commissioni scendono, le aziende devono essere più efficienti”.
In futuro l’investitore avrà “meno scelta” ha aggiunto Barber Din (Deloitte), “attualmente il mercato è sovraffollato in termini di numero di gestori e fondi che sostanzialmente fanno la stessa cosa per lo stesso risultato. Si avrà sufficiente scelta e competizione anche con meno fornitori e la vita sarà meno confusa” con la possibilità, auspicabilmente, “di maggiore chiarezza sui costi e probabili commissioni più basse”.