WSI Identikit dell’autunno che ci attende appena a di là delle vacanze estive: grigio fumo di Londra con qualche possibilità di diventare grigio piombo. I segnali, purtroppo, sono tanti e vanno tutti in una sola direzione: quella di un rallentamento della congiuntura a livello mondiale. Per vedere questi segnali basta guardarsi intorno. La scorsa settimana è cominciata la campagna delle “trimestrali” in America: e Yahoo, una delle più importanti Internet company, appena comunicati i risultati nel giro di pochissimi giorni ha perso il 15 per cento in Borsa.
Motivo: i risultati non sono nemmeno male, ma le prospettive lasciano a desiderare. E altri titoli hanno seguito (o stanno seguendo) la stessa sorte.
In una settimana il Nasdaq, l’indice dei titoli tecnologici (per il quale una volta si faceva follie), nel giro di sette giorni ha perso il 3 per cento e l’indice Sox (semiconduttori) ha perso invece il 5 per cento. Tutto questo ha, ovviamente, una sua logica. I titoli più smart (quelli appunto tecnologici) ormai quotano 100-150 volte i loro utili e il mercato comincia a capire che non tira più aria tanto buona. Anzi.
Sui mercati se non è ancora tracollo e crisi dura è solo perché, almeno in America, il rallentamento della congiuntura ha un corrispettivo nei tassi di interesse. In sostanza, la Federal Reserve aveva fatto capire che sarebbe passata, entro l’anno, da un costo del denaro dell’1 per cento a un costo superiore al 2 per cento, attraverso aumenti progressivi e bilanciati. Adesso, però, di fronte al rallentamento della congiuntura, un po’ tutti hanno capito che la Federal Reserve non terrà fede al proprio programma: a fine anno, molto probabilmente, il costo del denaro sarà ancora inferiore al 2 per cento.
Insomma, la congiuntura non tira e la Federal Reserve, paziente, cerca di mantenere basso a oltranza il costo del denaro, proprio per non infierire su una congiuntura che non è più quella di qualche mese fa. Il che, certo, attenua un po’ il fatto che gli affari non vanno più bene come a maggio, ma non toglie che l’economia americana è ormai in frenata. E poiché in questi ultimi mesi è stata proprio la grande performance dell’economia americana a tirare l’economia di tutto il mondo, il segnale che arriva da oltre Atlantico non è affatto incoraggiante.
Ma le cose stanno così e non è possibile fare altrimenti. Ormai, un po’ tutte le maggiori case di brokeraggio del mondo stanno rivedendo al ribasso le stime sulla crescita 2004 e 2005. Per quanto riguarda l’America si sa già che il 2005 farà un punto, forse un punto e mezzo di crescita in meno rispetto al 2004. Si scenderà cioè dal 4,5 al 3,5 o forse anche ancora più giù.
Questa situazione trova popi u a sorta di fotografia a tinte pesanti in un report del Chief Global Economist di Goldman Sachs, Jim o’Neill, il quale riassume il pericoloso scenario autunnale che si va delineando con due immagini: nella seconda metà del 2004 avremo un rallentamento della crescita e un aumento della pressione inflazionistica. In sostanza, stiamo andando incontro alla combinazione peggiore.
L’inflazione comincia talmente a disturbare il sonno dei banchieri centrali di tutto il mondo che alcuni cominciano a tenere il peggio. Si dice, ad esempio (e lo dice la banca d’affari Morgan Stanley), che la Banca centrale europea, che aveva in animo di aumentare il costo del denaro verso fine anno o addirittura nella primavera del 2005, potrebbe anticipare la salita dei tassi di interesse già a settembre, subito dopo le vacanze.
Se questo è il panorama che abbiamo di fronte, va detto che, come sempre, ci sono differenze evidenti e pesanti. L’America, anche mettendo in conto un certo rallentamento, nel 2005 avrà ancora una crescita superiore al 3 per cento, che rimane pur sempre un buon livello.
In Europa, invece, le cose sono più complicate. Anche se è vero che un po’ tutte le previsioni ci assegnano comunque una crescita 2005 del 2 per cento, stanno venendo a galla verità scomode e inquietanti.
Gli economisti di Caboto-Banca Intesa, ad esempio, hanno fatto i conti e hanno visto che l’economia europea è di fatto trascinata dalle esportazioni, e quindi molto sensibile a quello che avviene in casa d’altri. Il caso tedesco, sotto questo aspetto, fa quasi paura: la crescita degli ordini al settore manifatturiero viaggia a velocità quasi tripla per il settore estero rispetto quello domestico. Sono gli stessi economisti di Caboto-Intesa a annotare che “una composizione della crescita così strutturata è sbilanciata e espone l’area euro alle perturbazioni che potrebbero derivare da possibili shock sulla domanda esterna o dall’elevato prezzo del petrolio”.
Insomma, rispetto a oggi l’autunno sarà in frenata, ci sarà più inflazione e quindi il denaro costerà inevitabilmente di più. Inoltre, non si possono escludere crisi finanziarie improvvise (Borse) e nemmeno crisi di tipo congiunturale molto pesanti. Siamo dentro una congiuntura che non è ancora sana e che non ha basi di appoggio sicure, visto che deve essere sostenuta (fin che si può) dalle banche centrali attraverso iniezioni di denaro a buon mercato. In realtà, è una specie di corsa sui trampoli. E la paura è che alla fine qualcuno cada e si faccia molto male.
Copyright © La Repubblica – La Lettera Finanziaria per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved