L’articolo è tratto dal magazine Wall Street Italia di maggio e fa parte del lungo dossier dedicato a come investire la liquidità parcheggiata sui conti correnti dagli italiani
di Andrea Rocco
Agli altari delle cronache è recentemente venuto alla ribalta un dato che non ha precedenti: la ricchezza “a vista” in Italia ha raggiunto un livello record, a 1.379 miliardi di euro. Stiamo parlando di una cifra enorme, circa il 75% del reddito nazionale.
Benché sia tanta, questa ricchezza è anche pigra: se ne sta sul conto a poltrire, prevalentemente a causa di timori che gli italiani continuano a covare e che faticano a superare. Sia chiaro: detenere il denaro in forma liquida rimane la migliore scelta possibile, per chi ha in programma l’utilizzo di quella somma da qui a breve.
Tuttavia, in caso contrario, questa abitudine rappresenta un danno, un pericolo. Di motivi a sostegno di questa tesi che ne sono tantissimi, alcuni dei quali non sono soltanto trascurati, ma addirittura ignorati.
Facciamo qualche esempio. Il primo: la liquidità finanziaria è seducente. Attrae, chiama, è una tentatrice che spinge chi la detiene ad utilizzarla.
Questo è ciò che emerge da un preciso filone di studi comportamentali dei primi Anni Ottanta, riconducibile al premio Nobel Richard Thaler e ad altri studiosi, i quali battezzano il cosiddetto “mental accounting”.
L’evidenza empirica dimostra l’inclinazione degli individui ad etichettare il denaro, ad inserirlo in precisi conti mentali che generano comportamenti economici diversi. In altre parole, la ricerca dimostra che se due persone sono in grado di generare oggi la stessa quantità di risparmio, non è detto che domani abbiano la stessa quantità di ricchezza.
Risparmiare mille euro al mese e lasciarli in conto non è come risparmiare mille euro al mese e spostarli in un altro contenitore finanziario, in un altro conto mentale: nel primo caso la tentazione (anche inconscia) di spendere la somma esiste; nel secondo caso, il solo spostamento della somma genera valore.
Un rendimento comportamentale, ancor prima che finanziario.
Un secondo, importante aspetto da considerare riguarda il fatto che la liquidità non lavora per noi. Come è possibile che gli italiani siano da sempre grandi risparmiatori, ed al contempo gli ultimi in Europa per incremento della ricchezza finanziaria? Semplice: non fanno lavorare correttamente il denaro. Al risparmio, che rappresenta una straordinaria virtù nostrana, deve far seguito l’investimento. Questo passaggio è fortemente condizionato dalla paura che la scarsa educazione finanziaria produce: nella testa dei più, investire produce oscillazioni, turbolenze, incertezze e rischio di perdere soldi.
Le cose però stanno diversamente: se il processo di investimento è ben impostato, con diversificazione scientifica e rispetto degli orizzonti temporali statistici, la volatilità rappresenta solo il carburante del rendimento, l’ingrediente ineliminabile per generare valore.
Detenere invece un eccesso di liquidità non significa esser certi di non perdere, ma esattamente il contrario: l’inflazione, sempre presente anche se occulta, impoverisce ed erode potere d’acquisto ai possessori di ricchezza.
Ma c’è soprattutto un altro motivo che dovrebbe essere volano di riflessione: la liquidità in eccesso è dannosa, per il semplice fatto che non sarà mai abbastanza. La rivoluzione economica, sociale e demografica alla quale stiamo assistendo non ha precedenti: in Italia il tasso di fecondità è ai minimi storici (non si fanno più figli), al contrario c’è un tasso di longevità tra i più alti al mondo. Passeremo in media 25 anni in terza e quarta età, e saremo sempre più soli perché le famiglie sono sempre più composte da un nucleo più ristretto di persone. Ancora, il welfare pubblico si sta ritirando in tutte le sue forme. Insomma, serviranno sempre più soldi per vivere e noi non ci possiamo permettere di creare ricchezza e di non ottimizzarla.
Si potrebbe andare avanti, ragionando su altri motivi per i quali il patrimonio finanziariamente liquido rappresenti un problema, non un valore; un motivo che spinga all’azione, non all’inerzia. Ma quanto detto in queste poche righe dovrebbe in realtà essere sufficiente a comprendere un concetto tanto semplice quanto determinante: lasciare i soldi dove sono, non significa lasciare le cose come sono.
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