A cura di Arif Husain, Head of International Fixed Income, T. Rowe Price
È arrivata la fine del quantitative tightening (QT)? La minaccia dei dazi commerciali si è ripresentata in un momento in cui la crescita globale è già sotto attento esame. Se tale minaccia dovesse permanere, potrebbe spingere i banchieri centrali a diventare ancora più cauti quest’anno.
Nel 2019 già numerose banche centrali, compresa la Fed, hanno messo in pausa i rialzi dei tassi di interesse. Altri istituti centrali, come quelli della Malesia e della Nuova Zelanda, sono arrivati addirittura ad annunciare nuove misure di stimolo, compresi tagli dei tassi di riferimento. Vi erano segnali della fine del QT anche prima che le trattative commerciali si deteriorassero. Le discussioni sui dazi creano ulteriore incertezza e perciò incoraggeranno un atteggiamento ancora più ‘dovish’ da parte delle principali banche centrali.
In un contesto di crescita fragile, infatti, i dazi hanno il potenziale per deprimere ulteriormente il momentum, data la loro tendenza ad agire come un meccanismo di tightening finanziario. Per contrastare questi effetti potenzialmente negativi, la maggior parte degli istituti centrali dei Paesi Sviluppati potrebbe dover assumere un atteggiamento più cauto e accomodante.
La fine del QT rappresenterebbe un cambiamento di regime significativo sui mercati finanziari. Nell’obbligazionario, potrebbe far aumentare significativamente la capacità dei bond governativi core di ottenere rendimenti positivi e di ricoprire nuovamente il ruolo di asset ‘safe haven’. Lo stop ai rialzi da parte della Fed ha riportato i rendimenti dei Treasury sui minimi, quindi ci sarà più margine per un rally dei tassi nei momenti di stress di mercato.
A livello di costruzione del portafoglio, ciò significa che essere esposti alla duration potrebbe nuovamente essere un buon modo per gli investitori di diversificare il rischio azionario. Ciò ha implicazioni significative, perché significa che non è più necessario fare così tanto affidamento su un atteggiamento difensivo sui mercati del credito per ottenere una diversificazione rispetto alle azioni, all’interno delle strategie obbligazionarie.
Un’opzione attraente nel contesto attuale può essere l’aumento di esposizione alla duration in quei Paesi per i quali si prospettavano dei rialzi dei tassi all’inizio dell’anno. La Svezia e la Corea del Sud spiccano in quest’ottica, dato che le banche centrali di entrambi i Paesi ora hanno rapidamente cambiato rotta. Vale la pena di considerare anche le banche centrali che erano ferme e dalle quali ora ci si attende un taglio dei tassi.
Tuttavia, non tutti gli istituti centrali rinunceranno ai progetti di tightening: per questo, un’allocazione selettiva sui Paesi rimarrà un aspetto fondamentale della gestione della duration. Paesi come la Norvegia e il Regno Unito hanno più probabilità di aumentare i tassi in futuro, per via delle pressioni inflazionistiche locali.
La percezione che il QT stia finendo potrebbe avere profondi effetti anche sui mercati valutari, ma bisogna notare che il dollaro USA ha mantenuto una buona performance quest’anno, nonostante le mosse della Fed. A differenza di quanto ci si aspettava, lo stop ai rialzi non ha innescato un rally significativo delle valute straniere rispetto al dollaro.
La crescita, pur avendo rallentato, continua a favorire gli USA rispetto alla maggior parte dei peer tra i Mercati Sviluppati. Ciò finora si è dimostrato positivo per il dollaro. L’aspetto ironico è che l’interruzione del ciclo di rialzi da parte della Fed ha reso più attraente l’obbligazionario statunitense. Infatti, il costo marginale delle coperture per gli asset USA nelle valute straniere è diventato meno elevato, dato che i mercati non stanno più prezzando rialzi dei tassi.