La radici affondano nella sera del 30 aprile del 1993, con l’arresto di Bettino Craxi, il capro espiatorio di un’intera classe politica. I tribunali archiviano la Prima Repubblica e, sull’onda dello scandalo e del furor di popolo, gli italiani completano l’opera archiviando il finanziamento pubblico ai partiti. Sognavano, anzi sognavamo, una politica moralizzata ma senza immaginare le devastanti conseguenze di una politica privatizzata, cioè sostenuta unicamente dal finanziamento privato: con i soldi dei singoli cittadini, nel migliore dei casi, o dei grandi gruppi economici e finanziari, nel peggiore.
Ma le conseguenze le cominciamo a scorgere distintamente solo oggi, con i partiti in bolletta e i governi – in particolare i governi che osano ribellarsi ai dogmi economici di Bruxelles e dell’economia globalizzata – costretti a vivere sotto lo schiaffo opprimente di uno spread capace di dettare le agende e, talvolta, persino di scegliersi gli uomini che le dovranno eseguire. In barba alla volontà popolare e alle sovranità nazionali.
Da qui il problema del pilotamento della politica, plasticamente esplicitato da locuzioni, divenute familiari a noi abitanti dei Paesi cosiddetti Piigs, come “i compiti a casa”, “le riforme col pilota automatico” ed il celeberrimo “ce lo chiede l’Europa”. Tutte, non a caso, improntate ai voleri dei mercati finanziari. La politica del finanziamento pubblico, infatti, per quanto ladra la si potesse ritenere, aveva più strumenti per difendersi dai poteri economici. Poteva, se voleva, subordinarli. Ed in molti casi l’ha fatto, soprattutto in Italia. La politica del finanziamento privato, invece, oggi ne è sostanzialmente subordinata. Come è potuto capitare?
Ne abbiamo parlato con Alessandro Montanari, giornalista euroscettico e autore tv (sue le trasmissioni “Lultimaparola” (Rai2) e “La Gabbia” (La7) ed oggi a “Stasera Italia” (Rete 4), autore di un libro che fin dal titolo ha fatto molto parlare di sé: “Euroinomani”, edito da Uno Editori.
Montanari, tutto comincia con una fine: la fine della Prima Repubblica. Ce l’ha con Mani Pulite per caso?
“Certo che no. Ce l’ho con noi stessi perché siamo caduti in un tranello, naturalmente in buona fede. Quello che è successo dopo l’inchiesta di Mani Pulite, infatti, è evidente. Pochi lo ricordano ma al referendum voluto dai Radicali nel 1978 gli italiani votarono in buona maggioranza per la difesa del finanziamento pubblico dei partiti. Quindici anni dopo invece, nel 1993, l’opinione generale cambiò radicalmente, basti dire che nel ’78 votò per l’abolizione del finanziamento pubblico il 43,59% mentre nel ’93 i “SI” vinsero con il 90,25%. L’indignazione suscitata dall’inchiesta, alimentata sensazionalisticamente da tv e giornali, ebbe un impatto formidabile sulla psiche collettiva, che infatti trascurò i micidiali effetti collaterali della privatizzazione della politica. Effetti che pesano sui partiti, ma soprattutto sui cittadini, spogliati, stagione dopo stagione, di molti diritti”.
Cosa intende?
“Sappiamo benissimo che per ogni cosa ci sono dei pro e dei contro: così come nel finanziamento pubblico abbiamo avuto delle storture come i finanziamenti illeciti, è ora di ammettere che anche i finanziamenti privati hanno comportato degli effetti collaterali spiacevoli e inaspettati. Se guardiano ai lavoratori e ai pensionati, ad esempio, possiamo tranquillamente dire che la politica del finanziamento pubblico è quella che ci ha dato dei diritti, mentre dobbiamo riconoscere che la politica del finanziamento privato è quella che ce li sta togliendo uno per uno. Possiamo pure pensare che sia una provocazione, ma allora spiegatemi in modo convincente questa coincidenza. Se ci riuscite”.
Ma il finanziamento pubblico, è l’obiezione generale, generava corruzione.
“Mi viene da ridere. Le sembra per caso che non ci siano più casi di corruzione in politica? O che siano diminuiti? Vi sembra che la politica sia stata moralizzata senza il finanziamento pubblico? Certo che no. L’unico risultato che abbiamo ottenuto è stato costringere i nostri politici ad andare da banche e imprenditori col cappello in mano per chiedere il denaro necessario a svolgere l’attività politica del partito. Ma, secondo lei, un politico che riceva finanziamenti (leciti, si intende) dalle banche, farà mai leggi che possano limitare i poteri delle banche o a tutela dei loro clienti? Io direi di no. Anche perché, se lo facesse, quel tizio che lo finanzia, sentendosi beffato, smetterebbe immediatamente di erogare i finanziamenti e il malcapitato imparerebbe seduta stante la lezione.”
E la corruzione, allora, come si combatte?
“Non certo togliendo il finanziamento pubblico. La corruzione è una tentazione inestirpabile dell’uomo. Non la si può eliminare così come non si possono impedire i reati. I reati semmai si possono punire severamente e punendoli severamente forse si può sperare di scoraggiarli, sebbene persino la pena di morte non si sia mai dimostrata, a quanto pare, un deterrente efficace per sconfiggere il Male. Dunque io penso che al danno di non avere ridotto la corruzione della politica si sia aggiunta la beffa di averla legalizzata”.
In che senso?
“Quando un politico condiziona la propria attività politica in base a chi gli dà soldi e a chi non glieli dà, il risultato che abbiamo ottenuto è la legalizzazione e l’impunibilità di un altro tipo di corruzione: la corruzione morale della politica.”
Nel suo libro fa un esempio di questi effetti non calcolati della retorica anti-Casta.
“Sì, cito il caso di Josè Manuel Barroso. Dopo dieci anni alla guida della Commissione Europea, e nel bel mezzo della polemica populista contro “l’Europa dei banchieri”, Barroso ha accettato la proposta di Goldman Sachs, diventandone presidente non esecutivo per l’Europa ed advisor. Tutto perfettamente lecito e legale, per carità, ma di fronte a questo ennesimo esempio di sliding doors tra politica e finanza anche i funzionari di Bruxelles hanno avuto da eccepire. Il danno peggiore tuttavia l’ha subito l’immagine della politica europea. Infatti, se la modernità è questa, io dico che mi sembrano molto meglio i tanto deprecati politici dei tempi della Prima Repubblica, che prendevano i soldi dallo Stato – e perciò erano moralmente obbligati a perseguire l’interesse pubblico mentre noi eravamo autorizzati a rimproverargli quando non la perseguivano – e che non si trasformavano improvvisamente in banchieri. Erano politici di professione, con lo spirito di corpo che ne deriva”.
Ma allora come se ne esce?
“Facendo una riflessione collettiva. Riconoscendo che abbiamo sbagliato: pretendevamo una sacrosanta moralizzazione della politica e abbiamo creato le condizioni che la rendono praticamente impossibile. Potremmo ripristinare un finanziamento pubblico adeguato e contemporaneamente aumentare, anche drasticamente, le pene per i corrotti. Proviamo almeno a vedere se, in questo modo, i cittadini e gli Stati recuperano la sovranità perduta a vantaggio dei poteri economico-finanziari. Altrimenti tanto vale rassegnarci allo spread, ai compiti a casa e al pilota automatico. E morire in silenzio”.
Gli italiani la seguono in questo ragionamento?
“No. Ma non mi arrendo. Faccio spesso questo esempio, nella speranza che sia illuminante, anche se forse lo è solo per me. Anche nella sanità emergono spesso scandali, eppure non chiediamo la fine del sovvenzionamento pubblico della sanità. Anche nelle università ci sono stati molti scandali, eppure non abbiamo mai chiesto la fine dell’istruzione pubblica. E persino nella gestione degli acquedotti se ne sono sentite e viste delle belle, eppure abbiamo ribadito l’importanza dell’acqua pubblica in un referendum, peraltro uno dei pochi così partecipato da avere raggiunto il quorum.”
“Ma allora perché solo per gli scandali della politica abbiamo chiesto la fine del finanziamento pubblico dei partiti? Se vogliamo sanità, istruzione e acqua pubblica dobbiamo avere una politica finanziata dal pubblico, altrimenti accadrà inevitabilmente che sanità, istruzione e acqua verranno privatizzate. È solo questione di tempo. Chiediamo la punizione dei colpevoli e il loro allontanamento dalla politica ma, per favore, non uccidiamo la politica che, da che mondo è mondo, è sempre stato l’unico strumento non violento a disposizione del debole per difendersi dal forte”.