Un vero e proprio pasticciaccio all’italiana è quello che si sta consumando sui buoni fruttiferi postali. Lo scorso 2007 la Cassazione aveva affermato che sottoscrivere un buono compreso il tasso di interesse equivale in tutto e per tutto a firmare un contratto che non può essere modificato in corso d’opera. Ma con il provvedimento dell’11 febbraio scorso, le Sezioni Unite della Cassazione smentiscono la loro precedente posizione stabilendo che lo Stato può cambiare le regole anche in modo retroattivo.
Da qui una pioggia di ricorsi e in diversi contenziosi l’Arbitro Bancario Finanziario sta dando ragione ai risparmiatori chiedendo a Poste Italiane di restituire parte degli interessi non versati, ma dovuti. Su Repubblica l ‘avvocato Marisa Costelli, delegata per Milano dell’associazione Konsumer Italia spiega chi sono i risparmiatori interessati.
Dopo l’entrata in vigore del decreto (ndr: decreto legislativo 284 del 1999 che ha abrogato il Codice postale stabilendo che i rapporti in essere, libretti e buoni fruttiferi postali, continuavano a essere regolati secondo le leggi anteriori), le Poste avrebbero dovuto emettere buoni della serie Q. Ma per un po’ di tempo hanno continuato a utilizzare vecchi moduli delle serie O e P che indicavano tassi superiori ma – di fatto – non più applicabili.
La legge consentiva alle Poste di utilizzare, fino a esaurimento, solo i buoni della serie P (e non quelli della serie O) a patto però che l’impiegato apponesse due timbri, uno sul fronte e uno sul retro. Sul timbro frontale doveva essere scritto “Serie P-Q” mentre sul retro doveva riportare i nuovi rendimenti a trent’anni. Solo che in molti casi Poste o non ha timbrato i vecchi buoni, o li ha timbrati in modo sbagliato indicando solo i nuovi interessi, ma non la rendita.
Da qui migliaia di risparmiatori, credendo che avrebbero ottenuto la stessa rendita, trent’anni dopo al momento di riscuotere si sono ritrovati con una cifra ben sotto le loro aspettative.
Per fare tutto in regola usando i buoni P, precisa l‘avvocato di Konsumer, Poste avrebbe dovuto realizzare tanti timbri quanti erano i tagli dei buoni (da 50.000 lire a 5 milioni di lire) perché la rendita varia in base al capitale investito. Invece ha deciso di andare al risparmio usandone solo uno con gli interessi dei primi vent’anni: lasciando inalterato il rendimento successivo dal ventunesimo anno fino al 31 dicembre del trentesimo dall’emissione.
Da qui la pioggia di ricorsi all’Arbitro finanziario. Come capire se si è tra le fila dei risparmiatori interessati che potrebbero far ricorso? Basta prendere il proprio vecchio buono fruttifero e verificare la data di emissione per cui se questa è posteriore al 1° luglio 1986 occorre verificare la serie: se è “O” è probabile che, in caso di contenzioso, l’Arbitro Bancario Finanziario dia ragione al risparmiatore; se è “P” bisogna verificare che siano stati apposti i due timbri: “P-Q” sul fronte e la tabella di tutti i nuovi rendimenti della serie Q, di tutti i 30 anni.