Vacilla il governo britannico presieduto da Boris Johnson che, con il passaggio dell’ex sottosegretario Philip Lee al gruppo liberaldemocratico, non può più contare sulla maggioranza alla Camera dei Comuni. La “maggioranza” passa ora a 319 voti, contro i 320 in mano all’opposizione. L’esecutivo, comunque, potrà rimanere in carica finché non incasserà un voto di sfiducia in parlamento. Lee, membro fino ad oggi del partito conservatore che assieme agli unionisti sostiene il governo Johnson, ha motivato la sua defezione accusando l’esecutivo di “rincorrere senza scrupoli una Brexit dannosa”.
Negli ultimi, intensi giorni, di vita politica britannica il premier aveva annunciato che la Brexit avrebbe avuto luogo nei tempi previsti, il 31 ottobre, per poi confermare che nessuna estensione del periodo cuscinetto sarebbe stata richiesta all’Europa. Successivamente, Johnson ha richiesto la sospensione del parlamento britannico fino al 14 ottobre, riducendo la finestra temporale che consentirebbe al governo di impedire un’uscita del Regno Unito senza accordo con l’Ue. La mossa, avallata dalla regina Elisabetta II, ha innescato furiose proteste nel Paese e di fronte a Westminster.
Intervenuto oggi in Aula, il primo ministro ha affermato che bloccare il percorso d’uscita per il 31 ottobre annullerebbe ogni possibilità di “negoziare un nuovo accordo” con l’Ue. Se i ribelli del partito conservatore riuscissero a prevalere, facendo passare una legge anti No-deal, Johnson si vedrebbe costretto “a pregare per un ulteriore ritardo senza scopo” dei termini di esecuzione della Brexit. Una preghiera che il premier, ha affermato, non è disposto a recitare: “Vorrebbe dire issar bandiera bianca”.
Se il parlamento riuscisse a bloccare la Brexit per il prossimo 31 ottobre, ha confermato un portavoce del premier, “si sarebbe costretti alle elezioni” in quanto il primo ministro avrebbe perso la sua posizione negoziale, “tali elezioni avrebbero luogo prima del Consiglio europeo di ottobre” del prossimo 17 ottobre.