di Giovanni Sabatini
La tecnologia sta rivoluzionando radicalmente anche il mondo della finanza, portando velocità e soluzioni nuove che prima neanche si immaginava potessero esserci. Ma ciò impone un’attenta regolamentazione che tenga conto della centralità della persona e dei suoi diritti fondamentali. Giovanni Sabatini, direttore generale dell’ABI, ci racconta il nuovo contesto in cui si muovono banche, fintech e nuovi competitors evidenziandone limiti e vantaggi.
L’innovazione, e i vantaggi che ne possono derivare, non possono essere valutati con una visione parziale e semplicistica, che si limiti a valorizzare l’introduzione di nuovi sistemi, nuovi metodi di produzione e nuovi modelli di organizzazione. Questo vale in ogni campo, non solo nel settore finanziario.
L’innovazione, per essere definita tale, deve essere valutata piuttosto in relazione al suo obiettivo finale che, a livello macro, deve comprendere sviluppo economico, crescita e miglioramento del benessere collettivo.
L’innovazione genera innovazione
Oggi l’innovazione genera nuova innovazione e i cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie avanzano con una velocità esponenziale. Questa corsa continua ne rende più complessa la valutazione degli effetti su realtà sempre più articolate e interconnesse. La difficoltà del compito, tuttavia, non può portarci ad accettare acriticamente tutto ciò che viene definito innovazione senza una adeguata valutazione dei rischi e delle necessarie misure per gestirli e minimizzarli.
Questo è tanto più vero nel settore finanziario, dove il concetto di mercato regolato assume un rilievo del tutto particolare, poiché laddove si registri un “fallimento del mercato” occorre intervenire con una appropriata e adeguata regolazione al fine di scongiurare rischi sistemici. Per questa ragione è fondamentale che rimangano fermi alcuni principi di carattere generale e, soprattutto, che non venga mai meno il principio della centralità della persona e del rispetto dei suoi diritti fondamentali.
L’intelligenza artificiale e le cripto valute
In questo senso l’esempio dell’intelligenza artificiale (AI) è paradigmatico. L’utilizzo di questa tecnologia si sta facendo largo in campo sanitario, nell’implementazione delle città intelligenti (smart city), così come nell’automazione di innumerevoli operazioni e nella gestione dei dati, ottenendo una riduzione dei costi e tempi di produzione e organizzazione del lavoro.
Allo stesso tempo però, l’applicazione dell’AI pone rilevanti sfide sotto almeno tre profili: quello della legalità, quello dell’etica e quello della robustezza (intesa sotto il profilo tecnico e sociale, onde evitare che i sistemi di AI possano causare danni non intenzionali). A fronte di queste sfide l’Unione europea ha avviato un importante lavoro, volto a definire principi etici che guidino nello sviluppo delle tecnologie in diversi ambiti, con un approccio “umano-centrico”.
Il documento, presentato all’inizio di aprile su impulso della Commissione europea, sottolinea l’utilità dell’intelligenza artificiale nel “migliorare il settore della salute, ridurre il consumo di energia, rendere le auto più sicure, aiutare gli agricoltori a usare l’acqua e le risorse naturali in maniera più efficiente” e “nell’individuare delle frodi e delle minacce informatiche”.
Allo stesso tempo il documento sottolinea come, in un contesto di rapidi cambiamenti tecnologici, la fiducia rimane il cemento delle società, delle comunità, delle economie e dello sviluppo sostenibile e pertanto obiettivo della Commissione è costruire un quadro di riferimento chiaro e completo per conseguire una AI realmente affidabile.
Il progetto Libra di Facebook
Un altro esempio, su cui sviluppare ulteriori considerazioni di ordine generale sul tema dell’innovazione finanziaria, ci viene da una delle novità che più ha fatto parlare di sé recentemente, ovvero il progetto promosso da Facebook per adottare una criptovaluta, Libra.
I promotori del progetto e coloro che se ne sono fatti sostenitori incondizionatamente, sostengono che Libra contribuirà sensibilmente a ridurre gli oneri connessi con i convenzionali strumenti di pagamento e porrà termine al monopolio delle banche centrali, a cui gli stati affidano il compito di emettere moneta, azzerandone quindi i redditi percepiti a fronte di questa attività (il cosiddetto signoraggio). Libra romperebbe questo monopolio, supererebbe le inefficienze dei tradizionali sistemi di pagamento azzerandone i costi (espliciti) e avrebbe una natura sovranazionale, offrendo quindi una opportunità per quei paesi non dotati di sistemi finanziari e di adeguate strutture di pagamento. Inoltre, a differenza delle altre criptovalute il cui valore è estremamente volatile e di difficile determinazione, Libra sarebbe agganciata a un paniere di titoli di stato costruito in modo da garantirne la stabilità del cambio.
Valutazioni da più punti di vista
Anche in questo caso la valutazione estremamente positiva si limita a osservare il fenomeno sotto un aspetto parziale, senza considerare le implicazioni di carattere macro e senza una compiuta analisi dei costi e benefici rispetto al benessere collettivo. In questa logica la prima considerazione che viene spontanea è che, se realmente Libra prendesse piede come strumento di pagamento globale, il monopolio dell’emissione della moneta (e la regolazione della quantità in circolazione) si trasferirebbe dalle banche centrali nazionali – organismi indipendenti, regolate dai propri statuti approvati con meccanismi che sanciscono anche l’obbligo di rendere conto della azioni adottate alle istituzioni democratiche (in primis i Parlamenti) – al consiglio di amministrazione di una società per azioni il cui fine (legittimo) è il profitto.Le banche centrali nazionali determinano la politica monetaria in funzione e in coerenza con gli obiettivi definiti nei loro statuti e all’andamento del ciclo economico e in relazione a ciò utilizzano l’ampia gamma di strumenti a loro disposizione, determinando il livello dei tassi di interesse. Con quali criteri il consiglio di amministrazione di una società determinerebbe la quantità di moneta in circolazione? In funzione della massimizzazione degli scambi che si realizzano sul suo circuito, al fine di massimizzare l’utile della società stessa? Sarebbe questo coerente con l’andamento del ciclo economico e con le aspettative di inflazione? E come si costruirebbe la curva dei tassi di interesse?
Conseguenze sistemiche
Stiamo parlando di uno dei modi per garantire l’efficace trasmissione delle politiche monetarie, ovvero determinare il livello dei tassi interesse, i quali a loro volta determinano i valori dei titoli azionari e obbligazionari. Questo sistema andrebbe anche a determinare il valore dei titoli che compongono il paniere che dovrebbe garantire il valore di Libra. Se questo meccanismo viene compromesso ci si può domandare come il sistema possa continuare a funzionare.
Questo è forse l’aspetto più macroscopico su cui bisogna interrogarsi e fare le valutazioni rispetto alla semplicistica analisi basata solo su una incompleta valutazione dell’effetto di riduzione dei costi diretti dei sistemi di pagamento. È vero, i conti correnti hanno un costo, ma sulla base delle regole di trasparenza europee e nazionali le banche hanno l’obbligo di rendere trasparenti questi costi per i clienti e la corretta applicazione di tali regole è sottoposta alla vigilanza delle autorità competenti. Potrebbe dirsi altrettanto dei costi (espliciti e impliciti) della nuova moneta? Quali sono i costi per partecipare a Facebook? Li conosciamo? Il valore che trasferiamo attraverso l’utilizzo dei nostri dati personali è reso trasparente e l’utente ne è reso adeguatamente consapevole? Vicende recenti dimostrano il non sempre trasparente e corretto utilizzo dei dati personali. Numerosi sono gli altri temi regolamentari che dovrebbero essere affrontati: dal rispetto delle regole di anti riciclaggio e di lotta al finanziamento del terrorismo, al contrasto all’evasione fiscale, alla sicurezza cibernetica che è fondamentale, alle regole di trasparenza.
Le regole uguali per tutti
Tornando ai temi più specifici del settore bancario, il principio base a cui fare riferimento per una corretta gestione dell’innovazione finanziaria è quello che richiede che, a fronte di medesime attività e rischi, corrispondano le stesse regole e un’uguale vigilanza.
La richiesta di un quadro regolamentare adeguato e livellato, tuttavia, non implica necessariamente che siano imposti obblighi regolamentari sproporzionati in relazione alle dimensioni e ai rischi che effettivamente possono porre i soggetti che promuovono innovazione nel settore finanziario. Al contrario, un approccio che voglia favorire l’innovazione senza creare spazi per arbitraggi regolamentari, implicherebbe che anche per i soggetti più tradizionali, che da tempo operano nel settore (tipicamente le banche), siano creati spazi di sperimentazione in cui gli adempimenti regolamentari siano “alleggeriti” in via temporanea e sotto un attento controllo (le cosiddette “sandbox”).
Il legislatore interviene
Da questo punto di vista una notizia positiva viene dalla conversione in legge del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, che attribuisce al Ministero dell’economia, sentite le autorità di vigilanza, di adottare uno o più regolamenti per definire le condizioni e le modalità per lo svolgimento di una sperimentazione delle attività fintech. Le applicazioni delle nuove tecnologie quali Intelligenza artificiale, Distributed ledger technology riguardano i sistemi economici e sociali nella loro interezza e complessità e dunque la definizione del quadro giuridico deve basarsi su un approccio realmente olistico. Questo ad oggi non è ancora accaduto: prendiamo ad esempio la regolamentazione dei sistemi di pagamento definita dalla direttiva Psd2.
La direttiva contribuisce certamente a definire un quadro di regole più aggiornato per i sistemi di pagamento, aprendo la strada al concetto di “open banking”, ma l’open banking è un sottoinsieme di quella che si chiama “open data economy”. Aver affrontato il tema in modo settoriale, senza avere una visione più ampia di insieme, porta in primis problemi di coordinamento con altri pezzi del sistema normativo europeo (si pensi ai persistenti problemi di coordinamento tra il regolamento sulla protezione dei dati personali Gdpr e la Psd2) e in secondo luogo al rischio di creare un terreno competitivo non livellato e di aprire spazi per arbitraggi regolamentari.
Il punto è che la regolamentazione dell’innovazione in tutti i settori deve avere come riferimento un quadro di regole generali, all’interno del quale poi collocare le soluzioni applicabili al settore bancario, al settore dell’energia, al settore della previdenza e quant’altro.
Ciò su cui oggi occorre riflettere è come dare un quadro di certezze giuridiche che consenta di tutelare i principali diritti delle persone, in un quadro in continuo cambiamento, adeguando coerentemente il sistema delle regole e della vigilanza.
I valori etici come ultimo metro di giudizio
Ci sono molti esempi nella storia recente di come l’innovazione ben utilizzata abbia portato maggiore trasparenza, ma non possiamo dimenticare che esistono dei valori etici a cui il genere umano comunque deve uniformare i suoi comportamenti.
Questi valori limitano e impediscono di adottare certi comportamenti anche se, giuridicamente, potrebbero corretti. Tali valutazioni possono essere condotte solo dall’uomo e dunque occorre riaffermare la centralità della persona, posta a principio e misura dei processi di innovazione tecnologica. Tutti questi temi non possono essere affrontati a livello nazionale o a livello europeo, ma dovrebbero essere affrontati su scala internazionale. Dovrebbe essere un compito delle istituzioni internazionali, i cosiddetti “standard setting bodies” quali il Financial stability board, il Comitato di Basilea, lo Iosco, definire un quadro di regole omogenee da applicare poi a livello nazionale sotto la vigilanza dell’Imf. Le risposte dovrebbero essere trovate facendo riferimento ai principi del multilateralismo, su cui fino a oggi abbiamo pensato che la soluzione dei problemi mondiali trovasse una risposta. Quello che oggi stiamo osservando è un ritorno al bilateralismo, a valutazioni parziali basate su visioni limitate e nazionali di breve periodo che non consentono di dare risposte efficaci a fenomeni che sono globali.
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di settembre del magazine Wall Street Italia