L’articolo fa parte di un dossier dedicato alla demografia e al nuovo modo di fare consulenza finanziaria pubblicato sul numero di ottobre del magazine Wall Street Italia.
di Michele Fanigliulo
I PIC (piano di investimento di capitale) e i PAC (piano di accumulo di capitale) sono due strumenti finanziari comunemente utilizzati per investire i propri risparmi. Vediamo come funzionano questi due strumenti, analizziamone i punti di forza e debolezza tramite casi pratici per comprenderne tutte le potenzialità.
PIC e PAC, cosa sono e quale scegliere?
La prima domanda da farci è: meglio investire in un’unica soluzione o a rate? Il PIC infatti consiste nell’investimento unico in uno o più fondi. In poche parole, il nostro capitale viene allocato direttamente, e in un unico versamento, con l’obiettivo di farlo crescere nel tempo. Nel caso del piano di accumulo invece si tratta di un vero e proprio programma di investimento, il cui obiettivo è invece quello di costruire il capitale.
Il PIC dunque è la soluzione che sarà scelta prevalentemente da chi, per svariate ragioni, detiene già un capitale da far fruttare. Questo è il caso, per esempio, dei pensionati che hanno a disposizione liquidità e TFR, di chi ha ereditato capitali, di chi riesce a risparmiare somme consistenti. Il grosso vantaggio del PIC è dunque quello di meglio sfruttare la capitalizzazione composta, riuscendo ad accrescere il proprio valore in periodi di tempo non per forza lunghi, ma anche nel medio termine.
Per chi sceglie questa opzione, due sono i concetti fondamentali: il market timing e la diversificazione. È chiaro infatti che se investo il mio capitale sui massimi o sui minimi di mercato i risultati, per il mio portafoglio, possono essere molto diversi. Subentra quindi il concetto di diversificazione.
Se ho a disposizione un capitale importante, per i più prudenti sarà sempre meglio suddividere l’investimento in diverse asset class, mentre, per chi invece cerca il rendimento potenziale massimo, consapevole dei maggiori rischi, scegliere sempre indici azionari efficienti e ben diversificati.
Il PAC invece è la soluzione per chi, non detenendo un grosso capitale, intende costruirlo gradualmente nel tempo. Questo per esempio è il caso dei giovani che decidono di accantonare per una pensione integrativa, di genitori che vogliono costruire un capitale da lasciare in eredità ai propri figli.
Il grosso vantaggio del PAC è che permette di entrare sul mercato anche con piccoli accantonamenti periodici. La durata e la cifra da accantonare nel piano sono scelte dall’investitore in funzione all’obiettivo che si è posto: questo dimostra la flessibilità di questa strategia d’investimento.
Anche in questo caso è la diversificazione il fondamento su cui costruire il piano. Per chi sceglie questa metodologia, la parola d’ordine è progressività. Il PAC infatti supera il problema del market timing tipico del PIC, permettendo un approccio graduale e sistematico ai mercati. Il piano di accumulo permette dunque di gestire meglio l’emotività dell’investitore soprattutto quando la struttura del piano prevede versamenti automatizzati.
È proprio l’automatismo la garanzia di investire anche quando i mercati scendono, azione che l’emotività, in periodi negativi, ci impedisce di compiere. L’ingresso frazionato nel tempo consente di mediare i prezzi d’acquisto e sono proprio i periodi di maggior ribasso a garantire nel tempo le crescite più importanti.
Quale rende di più tra le due strategie d’investimento?
Qual è la soluzione migliore: il PIC o il PAC? Anche in questo caso, la risposta è la stessa della domanda precedente. Non c’è uno strumento migliore, ma è importante essere consapevoli dei punti di forza e debolezza di questi prodotti e valutare quale sia il migliore per la nostra situazione personale.
Tecnicamente invece, ciò che sposta la bilancia tra le due forme d’investimento lo fa sempre il diverso modo con cui la capitalizzazione composta premia o penalizza l’investimento.
L’accantonamento infatti genera un “effetto valanga” maggiore col passare del tempo. Questo implica che l’andamento del mercato nella seconda parte del PAC pesa maggiormente sul risultato finale. Nel premio unico invece quello che conta è la direzione che prende il mercato e quindi se alla fine del piano il mercato è sopra o sotto il prezzo iniziale.
Estremizzando, in un mercato tendenzialmente rialzista il PIC restituirà un risultato migliore, mentre in un mercato molto volatile, sarà il PAC a fare meglio.
In un mercato laterale il PIC restituirà un capitale tendenzialmente invariato mentre per il comportamento del PAC dipenderà soprattutto dall’andamento del mercato nella parte finale del piano di accumulo. Quanto detto ancora una volta dimostra quanto sia importante la scelta dell’indice da utilizzare nei propri investimenti.
Puntare su indici efficienti e diversificare sempre
Su quali indici conviene utilizzare questi strumenti? Come sempre il consiglio è di investire su indici efficienti. Sono indici efficienti quelli americani, come per esempio l’S&P 500, per chi volesse rimanere in Europa invece, il DAX è il punto di riferimento.
Sono entrambi indici che negli ultimi 30 anni hanno fatto scintille performando rispettivamente il 728% e il 566%. Numeri da capogiro.
È vero però che la storia ha una valenza solo statistica, dunque è sempre meglio puntare su indici più diversificati, non solo per settore, ma anche per area geografica.
Oltretutto dobbiamo comprendere che nei prossimi anni i pesi economici potrebbero spostarsi a favore di altri Paesi, come sta già accadendo con la Cina. Per cui sarà sempre più importante poter cogliere la potenzialità di qualunque area del mondo. In tal senso l’MSCI World Total Return rimane per noi il riferimento e vanta nei 30 anni una performance del 541%.
Un caso pratico come sempre potrà chiarire le idee
Abbiamo ipotizzato un PAC di 25 anni, dunque a partire dal settembre del 1994, con versamenti da 200 euro al mese. In grafica potete vedere sia l’andamento del capitale cumulato che del PAC.
Il risultato è di tutto rispetto. Se avessimo avviato tale PAC 25 anni fa, oggi avremmo realizzato oltre 144 mila euro (lorde), contro 60.000 euro di premi cumulati.
Considerando invece commissioni del 2% linearmente distribuite sul piano e tasse del 26% sul capital gain il capitale maturato ammonterebbe ad oltre 120.000 euro e avremmo comunque raddoppiato il capitale investito (poco più di 60.000 euro di profitto netto), a dimostrazione che probabilmente il problema non sono i costi ma le strategie che scegliamo e le guide (consulenti) che ci permettono di mantenerle attive fino in fondo. Inutile dire che, chi avesse investito tramite PIC 25 anni fa, oggi avrebbe guadagnato il 435%.
Per meglio inquadrare il concetto, 500.000 euro investite a settembre del 1994, oggi sarebbero diventate oltre 2,6 milioni di euro lorde. Le tasse? Su questa somma le avremmo pagata volentieri, o no?
L’articolo integrale è stato pubblicato sul numero di ottobre di Wall Street Italia. Scopri tutti i contenuti del magazine adesso in edicola.