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L’Italia piace sempre meno agli investitori stranieri

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Ai fondi stranieri piacciono sempre meno le società quotate a piazza Affari. Tanto che le loro partecipazioni sono tornate sotto la soglia del 50%.
È quanto mette in evidenza un rapporto del Centro studi di Unimpresa, secondo il quale dal primo semestre 2015 al primo semestre 2019 le società per azioni hanno visto salire di oltre 60 miliardi di euro il loro valore, mentre le “quotate” hanno visto calare di 43,5 miliardi la loro capitalizzazione (da 545 miliardi di euro a 502 miliardi di euro).

Meno “stranieri” a Piazza Affari

In questo trend si inserisce la la “ritirata” da parte di soggetti stranieri: avevano oltre il 51% di Borsa Italiana a giugno 2015 (282 miliardi), sono scesi al 48% a giugno 2019 (243 miliardi).

“Dopo anni di scorribande, registriamo un passo indietro da parte dei soggetti esteri.
Il calo appare legato più alla perdita di valore delle società quotate e non a un ritorno degli italiani. Probabilmente, complice diverse ragioni, il nostro sistema imprenditoriale e finanziario risulta meno attrattivo e i motivi sono diversi: la crescita economica è lenta e la politica non riesce a dare le necessarie risposte ovvero meno tasse, meno burocrazia, più investimenti in infrastrutture, giustizia civile velocizzata” ha commentato il vicepresidente di Unimpresa, Andrea D’Angelo.

Lo studio dell’associazione è basato su dati della Banca d’Italia aggiornati al secondo semestre 2019 e incrocia i dati relativi al valore di bilancio delle azioni – quotate e non – detenute da tutti i soggetti economici che operano nel nostro Paese: imprese, banche, assicurazioni e fondi pensione, Stato centrale, enti locali, enti di previdenza, famiglie, investitori stranieri.

Gli azionisti di Piazza Affari

Secondo l’analisi, per quanto riguarda l’intero universo delle società per azioni del nostro Paese, la fetta maggiore è in mano alle famiglie: in calo al 39,47% rispetto al 44,51% del 2015.
Nella speciale classifica, seguono gli stranieri col 26,14% (era il 24,13%), le imprese col 17,04% (era il 13,37%), le banche con il 7,98% (era il 10,56%) e lo Stato col 5,08% (era al 4,89%), le assicurazioni e i fondi pensione col 2,75% (era l’1,90%); quote minoritarie sono riconducibili alle amministrazioni locali (stabili attorno allo 0,61% dallo 0,63%) e agli enti di previdenza (dallo 0,03% allo 0,92%).