Fra le tematiche legate alla riforma del Fondo Salva Stati (o meglio, Meccanismo europeo di stabilità, Mes) un capitolo importante riguarda il nuovo ruolo di questo fondo nelle crisi bancarie.
Se la bozza di riforma dovesse essere approvata (mancano ancora l’ok dei capi di stato e di governo Ue19 e le ratifiche dei parlamenti) scomparirebbe la possibilità di finanziamento diretto del Mes nell’ambito delle crisi bancarie.
Al contrario, esso potrebbe intervenire indirettamente, finanziando il Fondo unico di risoluzione (o Single resolution fund, Srf). A differenza del Mes il Srf non riceve la sua dotazione finanziaria dagli stati, bensì dalle banche e il suo compito è proprio quello di intervenire nella risoluzione delle banche in crisi.
Cosa cambia con l’ipotesi di modifica
L’idea della riforma del Mes è di fornire una linea di credito emergenziale al Srf, fino a 55 miliardi di euro, nel caso il Fondo unico di risoluzione ne faccia richiesta e non riesca a trovare fonti di finanziamento alternative. Entro un massimo di cinque anni il prestito del Mes al Srf viene restituito dai contributori di quest’ultimo fondo, le banche.
Per questo tale intervento viene definito come fiscalmente neutro nel medio termine: i contribuenti non intervengono, se non sotto forma di anticipo di denaro. Questa garanzia comune entrerebbe in vigore al più tardi nel 2024.
Perché rendere il Mes “il prestatore di ultima istanza” del Srf? Per favorire la stabilità dello stesso sistema bancario e per ridurre l’eventualità che a intervenire possa esserci lo stato del Paese presso cui la banca si trova ad operare. Il Srf, comunque, interviene solo in seguito a un bail-in pari all’8% delle perdite dell’istituto (attingendo i fondi, nell’ordine, prima dagli azionisti, dagli obbligazionisti e dai conti correnti sopra i 100mila euro).
Questo aspetto, particolarmente doloroso e controverso, era già presente nelle regole e non sarebbe modificato dalla riforma del Mes.