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IL RIMMEL
AL BILANCIO

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(WSI) – Ha le sue buone ragioni il ministro Siniscalco a dirsi «soddisfatto» delle prime cifre fornite dall´Istat sul consuntivo 2004. Davvero, l´istituto di statistica non poteva fargli un regalo migliore di quel tre per cento secco nel rapporto fra deficit e Pil. Non un 2,99 e neppure un 3,01, ma proprio la cifra tonda indispensabile per poter dire all´Europa che l´Italia tocca e però non supera il limite massimo fissato nei parametri di Maastricht.

Si può ben comprendere, perciò, la gioia del ministro per un risultato così azzeccato al centesimo da apparire prodigioso e quasi incredibile. Oltre che soddisfatto, tuttavia, Domenico Siniscalco si è dichiarato anche «tranquillo». E questo, in verità, si capisce meno, molto meno.

Per ammissione dello stesso ministro, infatti, quel fatidico tre per cento di deficit 2004 è stato raggiunto anche grazie a misure “una tantum” nell´ordine di almeno un punto e mezzo di Pil.

Dunque, lo sbandierato rispetto dei vincoli europei risulta per circa la metà fittizio in quanto affidato a provvedimenti di efficacia temporanea, che dovranno – in parte già quest´anno e “in toto” nel prossimo – essere sostituiti da interventi strutturali, vuoi sulle spese vuoi sulle entrate. In altre parole, la faccia del bilancio è stata truccata con un rimmel che ormai si sta sciogliendo, riportando in piena luce le profonde rughe sottostanti.

Come, del resto, fa chiaramente presagire un´altra cifra fornita dall´Istat, sulla quale al ministero del Tesoro si è fatto finta di nulla. Il dato è quello relativo al cosiddetto avanzo primario: cioè, al saldo fra entrate e uscite ordinarie, al netto della spesa per interessi sul debito. Com´è evidente, questo rappresenta l´indicatore fondamentale per valutare la tenuta dei conti, tanto di una famiglia quanto di un paese che, come l´Italia, debba sopportare un indebitamento ingente. Se si spende più di quanto s´incassa, non si avrà mai la capacità di far fronte ai debiti.

Viceversa, se le entrate superano le uscite si accumulerà capitale utile e indispensabile per liberarsi dal giogo dei creditori.
Dunque, il risanamento effettivo della finanza pubblica si misura su questo banco di prova cruciale.

Non a caso, infatti, quando gli altri soci dell´Unione decisero di chiudere un occhio sull´abnorme debito pubblico italiano approvando il nostro aggancio con l´euro, avanzarono al riguardo una richiesta precisa: che Roma si impegnasse a mantenere un saldo positivo fra entrate e uscite ordinarie nell´ordine del cinque per cento. E l´allora ministro Ciampi non ebbe difficoltà ad accogliere questa condizione perché con la sua opera di raddrizzamento dei conti aveva portato l´avanzo primario a sfiorare quota sette per cento nel 1997. Ebbene ora l´Istat certifica che, sull´onda di un pervicace cammino a ritroso compiuto in questi ultimi anni, il suddetto avanzo primario nel 2004 si è ridotto a uno striminzito due per cento, con un peggioramento di quasi mezzo punto rispetto al già deludente risultato del 2003.

Che poi, in questo scenario, una nota ministeriale abbia addirittura il coraggio di vantare «un´azione di risanamento più incisiva di quanto concordato a livello europeo» suona solo come un maldestro tentativo di prendere per scemi gli italiani. Ma quale risanamento, di grazia, se le spese si stanno di nuovo avviando a raggiungere e superare gli incassi, dilapidando la preziosa eredità di Ciampi? Né meno fuorviante appare la gioia espressa da Siniscalco per il mirabolante calo dal 106,3 al 105,8 del rapporto debito/Pil.

I paragoni saranno sempre antipatici, ma è il caso di ricordare che con la gestione precedente quel rapporto è sceso dal 124 al 110 per cento: 14 punti in cinque anni. Mentre con il governo Berlusconi si sono recuperati meno di cinque punti in quattro anni. Non si capisce proprio che cosa ci sia da festeggiare.

Da ultimo va segnalato che l´Istat ieri non è stato in grado di comunicare un altro dato essenziale (quello della crescita del Pil) perché – proprio all´ultimo momento – si è verificato un danno agli impianti di elaborazione.

Così la cifra uscita è un illusorio ed encomiastico più 3,9 per cento, che però non tiene conto né dell´inflazione né dei cinque giorni lavorativi in più rispetto all´anno precedente. Di certo sarà un caso, ma che rientra a pennello nella strategia di chi vuol oscurare la fragile realtà dei conti pubblici e della congiuntura economica nazionale.

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