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ITALIA: UN CASO DI CAPITALISMO PIGRO

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(WSI) – Il caso della Banca Nazionale del Lavoro (Bnl) ha assunto negli ultimi due
giorni un’importanza che va ben al di là di un tentativo, relativamente
normale, di scalata bancaria e si sta sviluppando su tre livelli paralleli.

Il
primo è quello aziendale che, attraverso il dipanarsi di mosse e contromosse
– in gran parte solo annunciate – vede la decisa volontà di una grande banca
spagnola, quale è la Bbva, di acquisire il controllo di una banca italiana,
la Bnl, di dimensioni notevoli ma inferiori alle sue; questo tentativo è
perseguito con estrema decisione, come del resto sembrano sempre fare le
grandi banche spagnole nelle loro frequenti acquisizioni all’estero.

All’energia degli spagnoli fa da contrappunto la determinazione della Banca
d’Italia di pronunciare l’ultima parola sugli acquisti esteri di banche
italiane. L’istituto di Via Nazionale ritiene che se un Paese perde il
controllo delle proprie banche perde buona parte della propria identità e il
governatore Fazio ha di recente fatto notare che la quota di capitale estero
nelle banche italiane è ben superiore a quella delle banche spagnole, per non
parlare di quelle tedesche o francesi.

Ma ecco intervenire la Commissione
europea di Bruxelles che rivendica l’ultima parola nella vicenda, di fatto
sottraendo alla Banca d’Italia ogni diritto di veto. Ed è questo il secondo
livello, quello istituzionale. Lo scontro tra la Commissione di Bruxelles e l’istituto di Via Nazionale non
può non coinvolgere il governo italiano, il quale si troverà, sicuramente
controvoglia, a pronunciarsi sulla questione.

E dietro il governo italiano è
indirettamente chiamato in causa il sistema economico italiano, il quale si
trova di fronte a una serie di domande scomode: perché gli stranieri si
muovono con tanta energia per acquistare una banca italiana e gli italiani non
vi trovano nulla di così interessante? Perché una vicenda quasi identica si
ripete per un’altra banca italiana, la Antonveneta, dove gli olandesi della
Abn-Amro vogliono diventare maggioranza e i possibili «cavalieri bianchi»
non mostrano alcun entusiasmo? Perché in campo finanziario, dove non ci sono
questioni di produttività, costo del lavoro a interferire con la
competitività nazionale, gli italiani appaiono così poco competitivi?

Su questa scarsa voglia di competere, su questo rifugiarsi molto volentieri
dietro le difese della Banca d’Italia, i responsabili della finanza italiana
devono al Paese una pacata ma esauriente spiegazione. Alcune banche italiane
hanno lanciato iniziative interessanti, soprattutto nell’Europa orientale, ma
una parte non piccola del mondo finanziario preferisce impieghi
supergarantiti, che ruotano attorno all’edilizia, al punto che per crescere
molte imprese medie e medio-piccole devono trovare un partner finanziario
straniero.

La relativa inerzia della finanza italiana nei suoi rapporti
internazionali deriva forse da una bassa propensione al rischio in un mondo
divenuto più rischioso? E’ questo il terzo e più scomodo livello del caso
Bnl, quello dell’identità economica italiana: se manca la voglia di
competere, non basteranno certo gli sbarramenti della Banca d’Italia.

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