Società

BERLUSCONI VUOLE UN ‘CORRIERE’ GOVERNATIVO

Questa notizia è stata scritta più di un anno fa old news

Il Cavaliere smentisce con tono quasi accorato: ma quali mani sul Corriere, tutte maligne invenzioni. Io chiedo solo una cosa: il giornale di Milano, della borghesia del nord, della classe dirigente, può essere un giornale sempre d’opposizione? Lo diceva già a Gianni Agnelli: Avvocato, lei ha sempre sostenuto che la Fiat è sempre governativa; io non chiedo che il Corsera lo sia altrettanto, ma possibile che sia sempre contro di me? E lo ha ripetuto adesso a Luca di Montezemolo.

Secondo fonti politiche ben informate, Berlusconi avrebbe chiesto di mettere in mora Paolo Mieli. Non ha intenzione di passare questo anno elettorale tra i colpi di grancassa che arrivano da via Solferino. Sono dieci anni, ormai, che i suonatori cambiano (almeno apparentemente) ma la musica resta sempre la stessa.

Contro Ferruccio de Bortoli partirono non solo polemiche, ma querele dallo studio Previti. Poi è venuto Stefano Folli e la luna di miele è durata lo spazio di una nottata. Il ritorno di Paolo Mieli non è certo piaciuto a Berlusconi, che non dimentica lo scoop sull’avviso di garanzia nel 1994, mentre il neo presidente del Consiglio a Napoli contava le stelle con Bill e Hillary Clinton. Ma non avrebbe mai immaginato che in soli pochi mesi, e alla vigilia delle elezioni regionali, dalla fortezza Bastiani sparasse ad alzo zero contro il governo e contro uno dei suoi atti più importanti: la riforma della Costituzione.

In realtà, qualche mitragliata c’era già stata. Sull’inchiesta Mediaset, ad esempio. E anche in questo caso lo studio Previti aveva fatto partire le sue querele. Però, da qualche settimana a questa parte, ogni mattina che a palazzo Grazioli gli portano il Corsera insieme alla colazione (è un’abitudine che un milanese che conta non può abbandonare), al Cavaliere va di traverso il primo sorso di caffè.

Berlusconi è convinto che le critiche al governo aumenteranno ora che al vertice Rcs ha preso i pieni poteri Piergaetano Marchetti: dal 4 maggio sarà presidente del gruppo, presidente del ramo quotidiani, oltre che segretario del patto di sindacato Mediobanca. Non solo: il consiglio del gruppo editoriale cambierà, rafforzando, con due consiglieri ciascuno, gli azionisti con oltre il 10% che sono Fiat e Mediobanca, lasciando a un consigliere chi ha più del 2%e fuori del tutto i nuovi arrivati che scalpitano da Caltagirone a Ricucci. Un vero e proprio arrocco che dà più solidità ad assetti proprietari che restano complicati e blocca, almeno per il momento, ogni tentativo di scalata. E non a caso il numero di Panorama in edicola, pubblica due ampi pezzi sul «Cuccia del nuovo millennio».

Marchetti è sinonimo di equilibrio, anche politico. Sia chiaro. Non è un uomo schierato, non tira la volata al centrosinistra. Ma tutti gli uomini a cui è più vicino sono quelli più lontani da Berlusconi (a cominciare da Guido Rossi e poi via via Tommaso Padoa Schioppa, Francesco Giavazzi, Mario Draghi).

Montezemolo, che negli ultimi tempi ha evitato di offrire pretesti, si sente sotto pressione. Fedele Confalonieri, che pure ha votato per lui, adesso fa il principe di Condé. Perini, capo di Assolombarda, uno che non va molto per il sottile, è sceso in campo apertamente dichiarando che lui, in queste elezioni si schiera eccome, e vota centrodestra. Finora è rimasto solo, ma i berluscones giurano che sono in molti a dirgli bravo, sia pur sottovoce o in privato. La crisi economica, del resto, non favorisce certo la tranquillità d’animo. E il governo alla Confindustria non ha concesso proprio nulla (vedi provvedimento sulla competitività).

Mieli non vuol fare un giornale d’opposizione, lo ha detto e lo dimostra: non è tenero nemmeno con Romano Prodi e con il centrosinistra. Così come non fu tenero Ferruccio de Bortoli con Massimo D’Alema (si beccò una querela anche da lui). Tuttavia, tiene alla propria autonomia e difende il diritto di critica. Cerca di fare del Corsera il punto di riferimento di una classe dirigente che vuol modernizzare l’Italia e chiudere l’eterna transizione. L’autonomia è la condizione che ha chiesto alla proprietà. E, con il nuovo assetto al vertice di Rcs, si sente più tranquillo. Quanto al braccio di ferro con Berlusconi, può sempre fare l’esempio americano. In fondo è nulla al confronto di quel che passa tra Bush e il New York Times. Siamo o non siamo anche noi una democrazia matura?