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VIVERE PERICOLOSAMENTE CON LA BOLLA

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C’e’ la bolla immobiliare delle case e quella degli spazi commerciali e per uffici. C’e’ la bolla dei bonds e quelle delle due sue progenie, la bolla dei junk-bonds e quella del debito dei paesi del terzo mondo. Anche il prezzo della benzina alle stelle che vediamo facendo il pieno, mostra tutti i segni di una bolla dei prodotti petroliferi. E il premium pagato nelle mergers & acquisitions aziendali di questi giorni a Wall Street, e’ una indicazione mica male di una bolla sul mercato azionario.

Di fatto, praticamente ogni asset di mercato a cui vi venga in mente di pensare, oggi mostra segni tipici da bolla. La ragione? E’ abbastanza chiara: l’economia globale e’ inondata di cash a volonta’.

“C’e’ un ecceso di liquidita’ in giro, e si sta dimostrando molto difficile liberarsene”, spiega John Makin, dell’American Enterprise Institute, usando il termine preferito dagli economisti (“liquidity”). “La possibilita’ di una bolla di liquidita’ in tutto il mondo mi preoccupa”, ha detto la scorsa settimana al Financial Times il chairman di Citigroup, Charles Paine.

Per certi aspetti, questo eccesso di liquidita’ e’ quello che ci si dovrebbe aspettare nel momento in cui la vasta generazione dei baby boomers sta raggiungendo gli anni del picco in termini di guadagno, e comincia a risparmiare prima di andare in pensione.

Ma siamo ben al di la’ di questo semplice fenomeno. Guardiamo per esempio al mercato immobiliare. In America e’ talmente “bollente”, che ormai si notano fenomeni che lo fanno somigliare a quello dei day traders di qualche anno fa. Makin racconta che di recente, durante un suo viaggio in taxi dall’aeroporto di Key West (in Florida), tutto cio’ di cui il tassista voleva parlare erano gli appartamenti da vari milioni di dollari che venivano messi sul mercato parecchie volte di seguito, comprati e rivenduti, prima addirittura che la costruzione del palazzo fosse completata (e in certi casi addirittura iniziata). Cinque anni fa, quel tassista parlava solo del Nasdaq.

Ma facciamo un paso indietro. Sicuramente buona parte della storia, fin dalla crisi finanziaria asiatica del 1998, risiede nelle politiche monetarie di stimolo adottate dalle banche centrali mondiali. La Banca Giapponese, nell’intento di ravvivare l’economia locale, ha emesso denaro a buon mercato per diversi anni. Negli Stati Uniti, i tassi di interesse a breve termine, che sono controllati dalla Federal Reserve, sono stati al di sotto del tasso d’inflazione per piu’ di tre anni.

Il maggior colpevole, tuttavia, potrebbe essere la Banca centrale della Cina che, per prevenire un apprezzamento della valuta cinese, ha inserito il turbo alle macchine stampasoldi in modo da emettere quanti piu’ yuans possibili, necessari all’acquisto di tutti quei dollari guadagnati con le esportazioni.

Il capo della Fed, Alan Greenspan, ha dichiarato che nessuno e’ in grado di identificare una bolla finanziaria prima che questa abbia inizio, ragion per cui la Fed fece ben poco per cercare di contenere quella che ha interessato il mercato azionario negli ultimi anni ’90. Eppure molti esponenti della Federal Reserve, Greenspan incluso, erano coscienti di aver a che fare con una bolla di dimensioni enormi.

Ray Torto, guru del mercato immobiliare, ha recentemente mostrato come la differenza tra il costo mensile per l’acquisto di una casa, e quello per l’affitto della stessa, abbia registrato un divario sempre maggiore. A livello nazionale, l’attuale gap e’ di circa l’8%, mentre nei mercati piu’ “caldi” come San Diego e San Francisco, la differenza raggiunge anche il 50%. A Washington e’ per il 41% piu’ costoso possedere una casa che affittarla.

Da uno studio dell’Associazione Nazionale delle Societa’ di Costruzione, e’ emerso che, nel 2004, il 23% di acquistist di case e’ stato fatto esclusivamente a fini d’investimento. Per David Berson, capo economista di Fannie Mae, quest’anno il dato e’ aumentato al 30%.

Phil Verleger, esperto del settore energetico, fa un’analisi molto simile riguardo al recente rincaro del petrolio che, a suo parere, non e’ stato causato dai fondamentali (offerta, domanda e costo delle riserve) quanto piu’ dalle speculazioni sul mercato dei futures. L’OPEC e le maggiori compagnie petrolifere sanno benissimo che possono trarre maggiori profitti quando le scorte di greggio sono basse, e perche’ cio’ avvenga e’ necessario mantenere i prezzi “spot” superiori a quelli “futures”. Adesso che tutti gli hedge funds stanno puntando su un aumento del prezzo del petrolio per il prossimo anno (prezzi “futures”), i prezzi “spot” reagiscono di conseguenza incrementando e portando il greggio alle stelle.

L’attuale bolla del mercato dei bond e’ stata riconosciuta niente po’ di meno che dallo stesso Greenspan, che ha ammesso di essere rimasto stupefatto dalla mancata reazione dei tassi d’interesse a lungo termine dopo aver portato quelli a breve all’1.75%. Nell’occasione, il capo della Fed utilizzo’ il termine “conundrum”. Altri hanno pensato ad un mercato speculativo guidato da un’irrazionale esuberanza e da un atteggiamento di massa.

Una storia analoga e’ quella relativa agli “spreads” dei bond piu’ a rischio, ovvero la differenza sul tasso d’interesse che gli investitori pagano rispetto ai Treasury bonds privi di rischio. Nel mercato dei junk-bond, gli spreads sono ai minimi storici. In quello dei bond dei mercati emergenti, gli spread che avevano raggiunto il 10% nel periodo della crisi del debito argentino alla fine del 2001, ora sono calati a circa il 3.3%.

E anche il mercato azionario e’ entrato in un “territorio” da bolla. Sebbene i prezzi siano solo leggermente superiori alla media storica, si respira un’atmosfera di déjà vu nel vedere le banche e le societa’ d’investimento di Wall Street pompare denaro in compagnie e fondi privati impegnati nella guerra delle offerte per l’acquisto di societa’ telefoniche piuttosto che di software. Ed e’ significativo il fatto che Warren Buffet, probabilmente il guru finanziaro americano piu’ conosciuto, che aveva correttamente identificato l’ultima bolla, abbia 43 miliardi di dollari depositati in banca perche’ incapace di individuare un affare su cui avanzare un prezzo ragionevole.

Tra gli economisti si tende a pensare che una bolla si forma solo quando c’e’ un eccesso di liquidita’ e che la responsabilita’ per il controllo dell’offerta di denaro e per il contenimento del fenomeno sia della Federal Reserve e delle Banche Centrali. Adam Posen, dell’Institute of International Economics, ha fatto un buon lavoro a scrivere qualcosa a riguardo, la scorsa settimana, in un articolo di un giornale tedesco.

Ma anche Posen, come Greenspan, ha commesso un enorme errore nel concludere che non c’e’ alcun bisogno di preoccuparsi delle bolle poiche’ queste hanno un ridotto impatto sul lungo termine di quella che gli economisti chiamano “the real economy”. Forse cio’ poteva essere vero in passato. Ma siamo in un mondo in cui i miliardi di dollari intascati dagli esportatori cinesi possono essere riciclati nei bond di Fannie Mae; un mondo in cui miliardi di petroldollari possono facilmente confluire negli hedge funds e fondi d’investimento immobiliare che a loro volta possono fare schizzare i prezzi delle compagnie satellitari, o degli immobili di Manhattan o dei bond del Tesoro. In un mondo del genere la vecchia distinzione tra mercati finanziari e la “vera economia” non ha piu’ ragione di esistere.

Con cio’ non si intende stabilire se la Fed abbia fatto bene o male, la scorsa settimana, a non alzare i tassi d’interesse per piu’ di un quarto di punto percentuale o per aver continuato ad utilizzare l’ormai consueto termine “measured” per definire il modo in cui intende procedere per rimuovere la politica monetaria accomodante. E’ tuttavia sorprendente il suo atteggiamento nel continuare ad ignorare le condizioni del mercato azionario e valutario nel prendere tali decisioni e spiegarle al pubblico.