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Brexit: i britannici mollano gli ormeggi, la copertina dell’Economist

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Verso l’ignoto”: questo è la copertina scelta dal settimanale britannico The Economist nella giornata che segna l’addio ufficiale del Regno Unito dall’Unione Europea. Viene così compiuto il più importante passo dal referendum del giugno 2016, che aveva scosso tutta l’Europa con un risultato che pochi ritenevano realmente possibile.
Ma non è l’ultimo atto. Poco cambierà, infatti, a partire dall’ora X, fissata alle 23 del 31 gennaio. Gran parte delle relazioni commerciali e delle regole sulla circolazione delle persone resteranno tali e quali fino al 31 dicembre 2020.
Durante i prossimi mesi il governo britannico e i Paesi membri dell’Ue cercheranno di stringere un nuovo trattato che regoli le relazioni future tra le due aeree. Il premier britannico, Boris Johnson, è convinto che questo breve lasso di tempo sarà sufficiente a stingere un accordo vantaggioso per il Regno Unito (benché normalmente negoziati di questo tipo richiedano anni, come dimostrano i casi del Ceta con il Canada o il Ttip con gli Usa).

Dopo la Brexit, cosa cambia da Febbraio

A partire da stanotte (31 gennaio) il Regno Unito cessa di essere ufficialmente un membro dell’Unione Europea, anche se sotto il profilo economico e commerciale restano in piedi tutti gli accordi attivi fino a questo momento. Fino al 31 dicembre il Regno Unito resterà nell’unione doganale, applicando gli stessi dazi verso le importazioni da Paesi terzi e garantendo libero accesso alle merci europee (e viceversa). Nulla cambia per la circolazione delle persone, nei reciproci diritti dei cittadini britannici e comunitari nei rispettivi territori nazionali.
Il cambiamento più visibile nell’immediato sarà di tipo politico. Infatti, la delegazione di europarlamentari britannici abbandonerà Bruxelles e, a partire dall’avvenuta Brexit, non il Regno Unito non potrà più far sentire la sua voce all’interno delle istituzioni comunitarie.
Secondo e ancor più importante punto: una volta lasciato il blocco europeo, il Regno Unito avrà nuovamente le mani libere per condurre negoziati commerciali con altri Paesi e dare avvio a una politica autonoma su questo fronte. Non si tratterà di un cambiamento immediatamente visibile, in quanto potrebbero passare mesi, o anni, prima che il Regno Unito possa finalizzare nuove intese – a partire da quella, ampiamente anticipata, con gli Stati Uniti. Anche per questo il momento della Brexit, più che una conclusione somiglia a un nuovo inizio.

L’Economist: l’Inghilterra riparta dal liberismo

 

“Il futuro della Gran Bretagna è pieno di incertezza”, scrive l’Economist nel suo editoriale dedicato alla Brexit, “non fa più parte di uno dei grandi blocchi globali, deve trovare un nuovo ruolo nel mondo. Separata dalle tensioni all’interno dell’Unione, le sue nazioni devono trovare una nuova sistemazione. Scosso dagli aspri argomenti sulla Brexit, il Regno Unito deve riparare il suo logoro contratto sociale. Le difficoltà non dovrebbero essere sottovalutate – conclude la rivista – ma quando la Gran Bretagna ha precedentemente ripristinato il suo corso, nel 1945 e nel 1979, le scelte che ha fatto hanno contribuito a rimodellare il mondo. Dovrebbe puntare a farlo di nuovo”.

La rivista britannica suggerisce al premier Johnson, che dopo aver guidato la campagna referendaria sulla Brexit è ora al comando del Paese in questo passaggio cruciale, di rifondare la propria strategia sul più tradizionale dei concetti anglosassoni: il liberismo.

“A livello nazionale, liberismo significa rendere il sistema aperto a tutti”, scrive l’Economist, “alla base del voto sulla Brexit c’era il malcontento giustificato dall’idea di trovarsi in un sistema economico che, mentre finge di essere aperto, è in realtà basato sul clientelismo, gestito da e a beneficio di un’élite lucida e impenetrabile”.

Per recuperare il consenso verso l’apertura a livello internazionale, Johnson dovrebbe rendere effettiva una maggiore inclusione delle province inglesi tagliate fuori dalla ricchezza di Londra.
“Ciò significa”, secondo la rivista, “incoraggiare la mobilità sociale spendendo più denaro per i primi anni dell’infanzia, consentendo la costruzione di più case in modo che i giovani possano avere abitazioni dignitose, attuando un’energica politica di concorrenza per mantenere gli operatori storici sotto pressione e costruire strade e ferrovie in aree che negli anni hanno visto pochi cambiamenti”.