“La responsabilità sociale di un’azienda è quella di aumentare i profitti”: questa frase appartiene al premio Nobel per l’economia Milton Friedman e veniva pubblicata sul New York Times nel settembre 1970. Circa 50 anni dopo, il sentimento degli investitori e di conseguenza quello di gestori finanziari ed aziende sembra assai lontano da quell’affermazione.
Un nuovo studio firmato da Augustin Landier della HEC Paris Business School, Jean-François Bonnefon della Toulouse School of Economics, e da Parinitha Sastry e David Thesmar della MIT Sloan, ha messo in luce il valore attribuito dagli investitori a quelle pratiche socialmente responsabili – un valore espresso in termini strettamente economici.
Secondo questo lavoro gli investitori sono disposti a pagare 0,70 dollari in più per un’azione in una società la quale dia in beneficenza, a sua volta, un ulteriore dollaro per azione.
E ancora, la valutazione degli investitori scende di 0,9 dollari per ciascuna azione riferita a una società con impatto sociale negativo, rispetto a quelle considerate a impatto neutro.
Il test: il valore attribuito alla beneficenza
“Nel nostro esperimento”, spiega Landier, “i partecipanti hanno presentato offerte per le azioni di tre società fittizie che differivano significativamente l’una dall’altra in termini di dividendi pagati all’individuo e in rapporto a quanto denaro aggiungevano o rimuovevano da un fondo che sarebbe stato donato a enti di beneficenza”.
In questo test, condotto su partecipanti reclutati tramite il Mechanic Turk di Amazon, la società “etica” ha donato alcuni utili degli azionisti in beneficenza. La società “non etica” ha attivamente prelevato denaro dal fondo di beneficenza per donarlo agli azionisti. Infine, la terza società “neutrale” non ha prelevato né donato al portafoglio destinato alla beneficenza.
Ai partecipanti è stato dunque richiesto di fare offerte sulle azioni di tutte tre le società in ordine casuale. Logica avrebbe voluto che la società ritenuta di maggior valore fosse quella che distribuisce più profitti – quella meno etica. Non è andata così.
“Ci siamo assicurati che i partecipanti avessero compreso appieno il meccanismo di offerta e le sue conseguenze, e i risultati sono stati chiari: i partecipanti hanno fortemente integrato le esternalità sociali nelle loro offerte sui prezzi”, afferma Landier. “I partecipanti erano disposti a pagare 70 centesimi in più per l’acquisto di una quota in un’impresa che dava un altro dollaro per azione a enti di beneficenza”.
Se il valore delle esternalità sociali veniva aumentato (con donazioni più consistenti o, viceversa prelievi dal fondo di beneficenza) il comportamento degli investitori si adeguava in modo proporzionale.
“Abbiamo riscontrato che gli investitori si comportano in modo simile indipendentemente dal fatto che le loro offerte siano fondamentali o meno per il comportamento etico delle società. I loro livelli di generosità sono rimasti gli stessi, il che suggerisce che gli investitori sono guidati da un obiettivo di allineamento ai propri valori piuttosto che da un obiettivo di impatto”, spiega Landier.
In altre parole l’etica interiore ha un peso, e se la percezione resterà questa sarà difficile che il trend degli investimenti sostenibili possa invertire la rotta.