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GREENSPAN E NOI

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(WSI) – La Federal Reserve ha aumentato il tasso di interesse dal 2,75 al 3 per cento. Invece la Bce, la Banca centrale europea ha lasciato invariato il suo al 2. Il divario, oramai, è di un punto a favore dell’Europa. Solo che l’eurozona è in una fase di rallentamento rispetto alla già modesta crescita media precedente. Infatti anche Francia e Spagna, le due aree economiche che avevano una crescita superiore all’1,2 per cento – cifra che caratterizza, invece, l’area italo-tedesca – si sono adeguate al nostro passo di lumaca. Che in realtà ha il suo epicentro nell’economia tedesca, il 35 per cento dell’intero Pil europeo.

Sino ad ora la Germania ha fatto affidamento sull’export, perché consumo e investimenti domestici sono statici. Ma le ultime notizie che vengono dalla Fed non sono, al riguardo, confortevoli. Alan Greenspan ha smesso di fare miracoli e, a differenza dei casi precedenti, non ha motivato l’attuale rialzo dei tassi con la crescita robusta dell’economia Usa, ma con le preoccupazioni per l’inflazione. L’indice che Greenspan usa, per misurarla è quello di base, dal quale vengono tolti i prezzi dell’energia e degli alimentari, perché ritenuti volatili. Esso è ora all’1,7 per cento. Ma l’indice comprensivo di alimentari ed energia è al 3,1 per cento, praticamente eguale al tasso di interesse della Fed, sicché il governatore preannuncia altri aumenti nonostante i segni di rallentamento dell’economia made in Usa.

Anche se non lo si dice, preoccupa il deficit della bilancia dei pagamenti americana che, nonostante il deprezzamento del dollaro, appare disastroso. L’economia non potrà più crescere al ritmo del 2004, con la conseguenza che gli europei potranno contare sempre meno sul loro export.

Il fatto che la Bce abbia lasciato il tasso al 2 per cento non basterà al rilancio. La Banca centrale avrebbe dovuto essere più espansiva in passato, quando nell’economia europea c’erano importanti focolai di dinamismo che, con la politica monetaria permissiva, potevano diventare una robusta fiamma. Ora la leva monetaria non basta. Servirebbe quella fiscale. Ma la Commissione europea continua a ostacolare, con un eccesso di regole sui bilanci, persino gli investimenti pubblici.

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