Economia

Quanto sta costando il coronavirus agli italiani

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Che sia una vacanza annullata o la rinuncia ad una stretta di mano, il danno dell’epidemia di coronavirus passa facilmente dall’essere psicologico, con la crescita del senso di insicurezza, ad economico.
Per l’Italia, fra i Paesi più colpiti al mondo dal Covid-19, le conseguenze economiche si sa già che ci saranno e che saranno rilevanti. Le stime, tuttavia, sono un esercizio difficile in questa fase, dal momento che non è ancora chiaro quanto si protrarrà l’emergenza e l’incremento pressoché costante dei contagi.

Il primo ammonimento di Bankitalia

Alcune previsioni, comunque, sono già state pubblicate. Quella che ha avuto il maggior risalto è stata quella pronunciata, lo scorso 23 febbraio, dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Nel corso di un’intervista rilasciata Bloomberg, Visco aveva parlato di un Pil italiano che, a fine anno, avrebbe potuto chiudere con 0,2 punti percentuali in meno a causa degli effetti dell’epidemia.
“ Dobbiamo usare le politiche di bilancio perché la politica monetaria è già molto accomodante a livello mondiale”, aveva detto Visco. Il 3 marzo la Federal Reserve e la banca centrale australiana sono intervenute con tagli ai tassi proprio per spremere dalla politica monetaria quanto più stimoli possibili.

Lo studio Ref Ricerche

Il 29 febbraio scorso le stime del centro studi Ref Ricerche hanno decisamente peggiorato il quadro di previsione annunciato dal Visco. Considerando che le regioni più colpite dal virus sono proprio le più produttive d’Italia, Lombardia e Veneto, una stima più severa – che prevede una contrazione del 10% nel reddito di queste regioni – si tradurrebbe in un calo del 3% per il Pil nazionale.

E’ però lo scenario più pessimistico: il centro studi Ref Ricerche prevede un impatto che va da un -1% a un -3% del Pil: “sono variazioni cumulate nel primo e nel secondo trimestre 2020” in quanto le misure di contenimento “incideranno solo su una parte del primo trimestre, mentre dispiegheranno appieno i loro effetti nel secondo”. Secondo le valutazioni di REF Ricerche, “l’epidemia e soprattutto le misure adottate per contenerla causano nel breve termine un minor Pil compreso tra 9 miliardi e 27, a seconda delle ipotesi adottate sull’entità delle perdite (e dei guadagni) nei diversi settori”.

Secondo queste previsioni, attività economiche pari all’11,7% in termini di peso sul Pil, subiranno, a causa dell’emergenza coronavirus, una riduzione del proprio reddito compresa fra 10 e il 40%. Si parla, in particolare, della filiera del turismo e delle attività legate ai centri di aggregazione.
La buona notizia, per così dire, è che le attività che non subiranno alcun impatto dall’epidemia valgono il 54,6% del Pil nazionale (le imprese restanti sperimenteranno un effetto positivo oppure un contraccolpo negativo modesto).

Le stime dell’agenzia Cerved

A inizio marzo l’agenzia di rating Cerved ha pubblicato uno studio sulle possibili conseguenze di una prolungata crisi sanitaria sulla solvibilità delle imprese italiane. Cerved ha preso in considerazione due distinti scenari. In quello di media gravità, nel quale gli effetti dell’emergenza coronavirus non si protrarrebbero oltre il 30 giugno 2020, il rischio default per le aziende non finanziarie italiane passerebbe dal 4.9% al 6.8% (con picchi al 10,6% nel settore più colpito, l’edilizia).
Nello scenario peggiore, nel quale la crisi si protrarrebbe per tutto il 2020, il rischio insolvenza passerebbe dal 4,9% al 10,4% (con picchi del 15,4%). (Nel grafico in basso le probabilità di default per settore nello scenario peggiore – colonna a destra).

 

Insomma, se il coronavirus si rivelasse difficile da contenere fino a dicembre, un’impresa italiana su 10 rischierebbe il fallimento.
In conclusione, scrive Cerved, “le imprese cosiddette ‘a rischio’ aumenterebbero dell’8% nel caso soft e addirittura del 26% nel caso hard, con conseguenze quasi imprevedibili per il tessuto economico locale e nazionale, con inevitabili fallimenti e chiusure delle aziende coinvolte”.

Non è un caso infatti, che il rischio-default delle imprese, si sia immediatamente tradotto in una forte vendita dei titoli bancari italiani. L’indice settoriale Ftse Banche dal 19 febbraio ad oggi (4 marzo) ha ceduto il 21% del valore; il Ftse Mib nello stesso periodo ha “contenuto” le perdite al 13,8%.