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(WSI) – Proprio nel giorno in cui l´Economist additava alla comunità internazionale l´Italia come il vero “malato d´Europa” (con un´economia stagnante, un business depresso, un sistema di riforme moribondo, una mancanza di regole drammatica) il centrosinistra si è spaccato in due, divaricando le sue strategie e le sue prospettive, avvelenando i suoi rapporti interni, mettendo nuovamente in dubbio – davanti ai cittadini – la sua capacità di sfidare vittoriosamente Berlusconi nel 2006, e soprattutto di creare una cultura di governo moderna ed europea, in grado di ridare slancio, fiducia e credibilità ad un Paese in declino, senza più missione.
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La Margherita sembra voler sostituire a questo progetto riformista d´impianto maggioritario un´opzione centrista, perfettamente legittima perché non ha alcuna ambiguità di schieramento, ma che sembra avere lo slogan del “riformismo in un solo partito”, e individua nei ds il principale competitore da superare prima di poter costruire qualsiasi progetto unitario: come ripeteva Craxi al Pci, nell´epoca in cui il comunismo e la sua pratica egemonica esistevano davvero. D´altra parte, la Margherita pensa così di poter crescere come il soggetto più adatto ad intercettare lo smottamento del centrodestra: divisi e sciolti, dunque, ma con un saldo elettorale che può far vincere il centrosinistra. Fino a costruire dopo la vittoria, addirittura, le basi di un nuovo partito democratico che raccolga l´intuizione dell´Ulivo, ma la porti fuori da ogni replica novecentesca e socialdemocratica.
Resta il fatto che la meta è lontana, e oggi bisogna fare i conti con un´altra rottura a sinistra che dopo dieci anni rischia di cancellare l´Ulivo – e ciò che potenzialmente significa – dal panorama politico italiano. Dopo la stagione dell´Ulivo, potremmo dire, comincia quella della cicoria. Per un danno così rilevante, le responsabilità vanno distribuite equamente. Rutelli da tempo voleva le mani libere e alla prima occasione ha portato la rottura fino in fondo, privilegiando il profilo del suo partito a quello del centrosinistra.
Prodi in questi mesi non ha esercitato una funzione obbligatoria della leadership, che è la capacità di unire, ed è mancato non tanto di autorità quanto di carisma: fino ad assistere al testa-coda spettacolare e assurdo di Bertinotti che solidarizza con i no global impegnati a occupare la “Fabbrica” prodiana del programma dell´Unione di cui il leader di Rifondazione fa parte. Fassino e D´Alema hanno delegato all´ingegneria politica ulivista (invece che a uno sforzo culturale) la soluzione dell´identità del loro partito, e oggi si trovano senza un apriscatole esterno, dentro una stagione post-comunista troppo lunga.
Ma più dei destini individuali dei leader, è il destino della sinistra italiana che preoccupa, perché rischia di restare nuovamente incompiuto, anche alla fine del ciclo dell´Ulivo, con evidenti riflessi sul sistema politico bipolare, dunque sul Paese. Con una formula, e pensando alla diagnosi drammatica dell´Economist per l´Italia, potremmo concludere che la destra, da noi, è preoccupante per ciò che è. La sinistra, per ciò che non è, e non riesce ad essere. Ancora una volta.
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