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Mercati in tilt per l’emergenza coronavirus: spunta ipotesi di chiusura per 15 giorni

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I mercati finanziari di tutto il mondo sono precipitati ripetutamente nelle ultime settimane a causa delle preoccupazioni per la pandemia di coronavirus. I crescenti timori hanno così sollevato la questione se i governi debbano chiudere i mercati azionari fino a quando il panico non si placherà.

Non a caso i CEO di alcune società avrebbero chiesto al governatore della Banca d’Inghilterra di chiudere i mercati per due settimane in modo da calmare la situazione e trovare rimedi comuni.
A tal proposito MarketWatch ha chiesto a Jonathan T. Fluharty-Jaidee, esperto di finanza della West Virginia University se ritiene che una chiusura sarebbe una buona idea.

Mercati in tilt: quando scattano gli interruttori

La maggior parte dei mercati finanziari di tutto il mondo ha i cosiddetti interruttori automatici che scattano quando i prezzi complessivi scendono di una certa entità. Così ad esempio, se il prezzo dell’indice S&P 500 scende del 7% rispetto alla chiusura precedente, la negoziazione di tutti i titoli sulle due principali borse statunitensi – la Borsa di New York e il NASDAQ – viene sospesa per 15 minuti.
Se scende di un ulteriore 6%, il trading si ferma per altri 15 minuti. Se l’S&P 500 scende di un ulteriore 7% – per un calo totale del 20% – le contrattazioni cessano per la giornata. Un calo del 7% è avvenuto diverse volte nell’attuale crisi, l’ultima volta a soli tre minuti dall’inizio delle negoziazioni il 16 marzo a seguito della decisione a sorpresa della Federal Reserve di tagliare i tassi di interesse nell’emergenza COVID-19.

La prima e ultima volta che i mercati statunitensi hanno spinto l’interruttore – prima di quest’anno – è stato durante la crisi finanziaria asiatica del 27 ottobre 1997. Secondo l’esperto, tali interruttori sono stati efficaci nel porre fine alle vendite di panico, almeno temporaneamente ma non impediscono che i mercati continuino a scendere.

Negli Usa è il presidente che ha il potere di chiudere i mercati in risposta a una crisi come la pandemia da COVID-19.

I mercati, sottolinea Jonathan T. Fluharty-Jaidee, sono stati chiusi molte volte a causa della guerra, della vittoria, della morte di presidenti, della celebrazione di eventi storici importanti come lo sbarco sulla Luna e i disastri, sia naturali che causati dall’uomo.
Ad esempio, il NYSE ha chiuso per quattro giorni dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre e ha chiuso per due giorni durante l’uragano Sandy nel 2012. La chiusura più lunga mai registrata è stata durante la Prima Guerra Mondiale, quando il NYSE ha chiuso per quattro mesi a partire da luglio 1914.

Normalmente, tuttavia, il mercato rimane aperto il più possibile anche durante i periodi di crisi finanziaria, e la gestione di ogni borsa è responsabile di determinare se ci saranno o meno negoziazioni quel giorno. Il governo, tuttavia, ha ampi poteri nel regolare il commercio durante le emergenze nazionali, il che include la possibilità di ordinare una chiusura.

Secondo l’esperto ad oggi non c’è nessuna evidenza sull’efficacia della chiusura dei mercati azionari durante le crisi. Gli Stati Uniti occupano un posto di primo piano nel mondo finanziario e se il mercato rimane chiuso troppo a lungo può dare il segnale che i mercati americani  sono inaffidabili.

Se quindi l’interruzione temporanea delle negoziazioni dà ai partecipanti al mercato il tempo di analizzare le informazioni e prendere decisioni più ponderate, una chiusura potrebbe causare danni reali agli investimenti americani nel lungo periodo se questi ultimi sono visti come un rifugio per gli investitori globali.