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(WSI) – I «fattori rilevanti» che hanno costretto l’Italia a sfondare, per tre anni di seguito, i parametri di Maastricht, non sono poi così rilevanti. Joaquin Almunia non va troppo per il sottile. I fattori rilevanti, secondo Domenico Siniscalco, sono: la riclassificazione condotta da Eurostat sui bilanci firmati da Giulio Tremonti, le spese per le missioni militari all’estero, i contributi netti alla Ue, e soprattutto la bassa crescita.
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Risponde il commissario europeo: i ritocchi di Eurostat non sono determinanti, la spesa militare in questi anni si è ridotta, degli esborsi alla Ue abbiamo tenuto conto, quanto al peggioramento congiunturale nel 2004, anche questo è stato già calcolato. Tuttavia, Almunia non esclude di potere valutare tutti questi fattori «nei passi successivi, quando decideremo l’ammontare degli aggiustamenti di bilancio necessari».
Decidere cosa? Quali aggiustamenti? Una manovra bis, cioè una stangata estiva? Niente di tutto questo, giura Siniscalco, che vuol trattare fino all’ultimo minuto, cioè fino all’Ecofin del 12 luglio dal quale dovrà scaturire la sentenza, o meglio la pena perché la condanna per infrazione dei criteri europei appare scontata. Il ministro dell’economia esclude una manovra correttiva, «meglio una buona finanziaria», insiste ricordando che l’intervento tampone dell’anno scorso non ha funzionato. Ha funzionato invece la finanziaria? I dati di finanza pubblica e le previsioni della Banca d’Italia che assegna un deficit del 4% per quest’anno, dicono di no. Dunque, una «buona finanziaria» per cominciare a impostare il rientro da un disavanzo tendenziale a legislazione invariata che supera 4,6% l’anno prossimo. Vuol dire che «la correzione necessaria sarebbe pari al 2,6%» (ancora Bankitalia). Cioè una finanziaria che deve portare nelle casse dello stato una quarantina di miliardi. Una cura da cavallo con il rischio di stroncare anche il cavallo.
«Almunia ce l’ha con noi, ha un pregiudizio anti-italiano», proclama Antonio Tajani (Forza Italia) e l’eco delle sue parole si diffonde nella maggioranza. Ma nelle carte che la commissione ha esaminato, c’è un passaggio chiave che stoppa ogni polemica. «Il basso tasso di crescita potenziale e l’elevato rapporto debito-pil indicano che il livello attuale del saldo primario è troppo basso per garantire la riduzione del debito». Questo è il criterio di fondo, il dato strutturale da prendere in esame dopo la revisione del patto di stabilità. E’ il saldo primario (cioè la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi) che contribuisce ogni anno a ridurre o aumentare il debito pubblico, rimasto inchiodato a quota 106%.
Il dato è incontrovertibile, a meno che non si accusi di «pregiudizio anti-italiano» anche la Banca d’Italia. A pagina 237 del primo volume della relazione del governatore, c’è una tabella che non sarà sfuggita a Tajani. Mostra il consuntivo dell’avanzo primario dal 1997, quando è cominciato il cammino verso l’euro al maggio 2005. Allora era al 6,8% del pil, ora è all’1,8%. Anzi, «al netto delle misure temporanee, il saldo si è quasi annullato».
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