L’articolo fa parte di un lungo dossier dedicato al coronavirus pubblicato sul numero di marzo del magazine Wall Street Italia
Nato a Bologna nel 1938, Pupi Avati è uno dei pochi registi d’autore viventi in Italia. Con il grande Federico Fellini a modello e ispirazione, il suo modo unico e alternativo di fare cinema, che non insegue a tutti i costi le logiche commerciali degli ascolti e degli incassi, ha portato con sé successi e soddisfazioni, ma anche fatiche e momenti difficili.
I protagonisti dei miei film assomigliano molto a quello che è il mio vissuto, il mio rapporto con la vita e i miei sogni, che magari in gran parte non si sono realizzati – racconta Avati –. Credo di avere la sensibilità per raccontare l’uomo comune, perché lo conosco: sono stato un ragazzo molto timido, come la maggior parte degli adolescenti, non ero bello, non ero ricco, non ero sportivo ma avevo aspirazioni e attese (…) È evidente che hai di fronte a te una serie di rinunce. Non diventerai mai ricco, non avrai mai quel tipo di consenso che ti permette di giovarti di una serie di vantaggi che ti danno popolarità, fama, notorietà. Però essere in pace con la propria coscienza, sapere di avere correttamente interpretato quello che sei è per me la cosa più importante”.
Con i suoi 81 anni anagrafici e 50 di carriera, il regista il cui ultimo film è “Signor Diavolo” uscito nel 2019, Pupi Avati lancia un messaggio che risveglia l’orgoglio di essere unici.
“Avere il coraggio, la forza e la sfrontatezza di essere sé stessi (…) È evidente che hai di fronte a te una serie di rinunce . Non diventerai mai ricco, non avrai mai quel tipo di consenso che ti permette di giovarti di una serie di vantaggi che ti danno popolarità, fama, notorietà. Però essere in pace con la propria coscienza, sapere di avere correttamente interpretato quello che sei è per me la cosa più importante”