Il virus Covid-19 ha messo fine al più lungo ciclo economico globale di sempre cominciato nel lontano 2009.
La crescita dei contagi di coronavirus a livello globale sta costringendo sempre più paesi a mettere in atto restrizioni relative agli spostamenti delle persone e delle attività produttive con un conseguente crollo della domanda.
Alcuni stati americani, l’India, parte della Cina e quasi tutta l’Europa, che oggi è l’epicentro di questa pandemia, sono oggetto di queste restrizioni.
Ci aspettiamo una recessione globale per il 2020 con l’Europa che potrà perdere 4.5% del PIL. Ciò che conta di più però non è quanto profonda sarà la recessione ma quanto durerà.
Infatti, gran parte delle imprese sono in grado di sopravvivere a una apnea di qualche mese ma molte incontrerebbero serie difficoltà se le restrizioni si prolungassero per diversi trimestri.
Credo che le variabili che determineranno la durata di questa crisi economica siano due.
La prima, quanto tempo ci vorrà a contenere la pandemia e a iniziare a rimuovere le restrizioni; la seconda, le politiche economiche che verranno intraprese.
Per quanto riguarda la tempistiche, l’attenzione è focalizzata sull’Italia, essendo il primo Paese occidentale ad aver adottato restrizioni, che sono state poi replicate in quasi tutta Europa e in parte degli Stati Uniti.
Il numero di nuovi contagi in Italia sembra decelerare da qualche giorno e se si dovesse registrare un calo significativo che mostri che l’epidemia arretra sarebbe un ottimo segnale anche per il resto dei paesi occidentali.
Noi ci aspettiamo che il picco dei contagi in Europa si possa verificare verso metà aprile e che le restrizioni verranno allentate a partire da metà maggio.
Sulla base di queste previsioni, si potrebbe ipotizzare intorno al quarto trimestre di quest’anno una rapida ripresa.
Il secondo aspetto da tenere in considerazione sono le politiche economiche. Molti investitori si domandano se questa crisi sarà un nuovo 2008. Anche se lo shock sarà di entità comparabile, questa volta le istituzioni sembrano essere meglio preparate.
Le dichiarazioni del FMI sono radicalmente diverse rispetto a poco più di un decennio fa. Si stanno mobilitando rapidamente ingenti risorse pubbliche, e ad oggi stimiamo l’impulso fiscale globale al 2,58% del PIL globale, rispetto all’1,66% registrato durante la crisi finanziaria del 2008.
Gli Stati Uniti stanno facendo progressi per approvare un pacchetto di stimoli fiscali da 2000 miliardi di dollari, pari a circa il 10% del PIL annuo degli Stati Uniti.
Dopo aver inizialmente snobbato il problema, Donald Trump ha ben compreso che sono in gioco l’economia americana e le sue chances di rielezione.
Parallelamente la Federal Reserve ha chiarito che i suoi interventi sul mercato potranno esser illimitati.
Anche l’Unione Europea si sta muovendo in modo importante anche se meno tempestivo e per ora senza superare i ben noti limiti della costruzione europea.
Dopo qualche incertezza, la BCE ha varato la scorsa settimana un nuovo programma di immissione di liquidità portando il totale per quest’anno a 1.100 miliardi, sufficientemente capiente per coprire i deficit che gli stati dovranno fare quest’anno.
Inoltre, ha indicato che rilasserà i requisiti di capitale delle banche per evitare strette creditizie.
La presidente della Commissione Europea ha annunciato che il patto di stabilità è sospeso lasciando maggior libertà ai paesi di fare deficit contrastare gli effetti diretti e indiretti del Covid-19.
I principali paesi europei si sono però mossi in modo autonomo e sulla base della capienza dei propri bilanci. Lunedì la Germania ha approvato una serie di misure di emergenza pari al 3,6% del PIL, l’Italia per ora è all’1,5%.
La mancanza di coordinamento potrà rappresentare un limite oltre che una forte distorsione competitiva nel post crisi.
Il primo ministro italiano Conte ha lanciato l’idea di un eurobond per finanziare la lotta al coronavirus e la successiva ricostruzione. Al momento la sua proposta è stata seguita da altri 8 primi ministri, tra i quali Macron e Sanchez che rappresentano circa la metà del PIL dell’eurozona, e che hanno scritto una lettera inequivocabile.
Ad oggi la proposta sembrerebbe non essere in grado di passare, in quanto i paesi del nord Europa preferiscono l’utilizzo del MES che però comporta condizionalità e il rischio di conflittualità in futuro.
Questi sono giorni cruciali per il futuro dell’Europa: se ne uscirà con maggior integrazione e solidarietà oppure con ancora maggior disaffezione e un ruolo che verrà sempre più sminuito.
Venendo ai mercati, la reazione delle borse è stata certamente amplificata da fenomeni tecnici, algoritmi che hanno venduto azioni reagendo all’incremento della volatilità e innescando un effetto domino oltre a margin call (vale a dire richieste di maggiori garanzie a fronte di finanziamenti di portafogli investiti) che hanno portato a vendite forzate.
In proporzione il mondo del credito ha vissuto degli shock ancora maggiori per mancanza di liquidità in alcune aree come le obbligazioni high yield e i titoli di stato emergenti.
Per un recupero sostenibile dei mercati occorre che vi sia visibilità sul raggiungimento del picco dei contagi, per questo l’andamento dell’Italia è così importante per tutti gli investitori.
Per chi ha un orizzonte di medio termine, spesso la miglior strategia è di non discostarsi troppo dalla propria asset allocation strategica ribilanciando il portafoglio regolarmente.
Chi è più liquido può considerare strategie di ricerca di rendimento azioni europee con dividendi elevati, e opportunità sul credito – high yield, obbligazioni emergenti – visto che i tassi saranno bassi a lungo.