*Michele Pezzinga e’ lo strategist di CentroSim. I suoi commenti non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.
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(WSI) – Che l’economia non spieghi l’andamento dei mercati azionari non è una
novità. Questo vale nel caso di una forte crescita economica, cui non
necessariamente si accompagna un boom di Borsa (è il caso della Cina, con
l’indice della Borsa di Shangai in calo di quasi il 27% negli ultimi dodici
mesi, sebbene quest’indice non sia così rappresentativo della realtà del
Paese), come in quello di una crescita anemica, se non addirittura negativa.
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E’ il caso dell’Italia, dove l’indice di Borsa mantiene un tono migliore
rispetto alle altre Piazze continentali (+19% circa nell’ultimo anno, contro
poco più del 10% per l’indice DJ Stoxx 50 e, oltreoceano, un modesto +5,5%
per l’S&P 500) nonostante abbia alle spalle la peggiore performance
economica di tutto l’Occidente industrializzato.
I motivi sono numerosi: il
nesso tra economia e utili non è così diretto, molto dipende dalle
caratteristiche dei singoli listini (quello cinese include numerose società
pubbliche in situazione fallimentare, il nostro molte utilities e realtà
protette dalla concorrenza internazionale), le quotazioni azionarie, infine,
scontano numerosi fattori che esulano dai cosiddetti “fondamentali”. In
questa fase da noi sono proprio alcuni di questi fattori esterni a sostenere
le quotazioni, e tra questi prevale un rinnovato interesse per gli assetti
di controllo, ora ritenuti più vulnerabili.
Partito dalla scalata a due
importanti istituti bancari e dall’assedio a RCS, il fenomeno si è da poco
esteso a realtà di maggior calibro e, se vogliamo escludere l’ipotesi che
anche Fiat ne sia coinvolta, di sicuro riguarda Mediobanca, e di riflesso
Generali assieme ai suoi principali azionisti. Possiamo dire che in questo
momento la correlazione tra le vicende societarie e lo scenario economico è
addirittura inversa: con la congiuntura in stallo, il comparto
manifatturiero alle prese con una crisi diffusa, a causa di una vistosa
perdita di competitività anche nei confronti degli altri partners europei
(la questione Cina non è quindi l’unica in campo), e i tassi d’interesse ai
minimi, emerge specularmente un “eccesso di capitale” incapace di trovare
sbocco nell’economia reale.
Ad esso si aggiunge anche un ingente afflusso di
liquidità di natura finanziario-speculativa che trova alimento nei
bassissimi costi di provvista e nell’abbondanza di credito disponibile da
parte del sistema bancario, non solo a livello nazionale. Un circuito tutto
sommato virtuoso, se alla frenesia degli acquirenti corrispondessero
prospettive altrettanto brillanti per le realtà oggetto di attenzione.
Ma è davvero così? Nel caso delle banche sotto OPA o di RCS la nostra
risposta vi è già nota: i prezzi di mercato stanno già incorporando un
premio di controllo molto significativo che difficilmente potrà essere
razionalizzato in termini di sinergie e valore per gli azionisti delle
società acquirenti. Ancor più chiaramente nella vicenda RCS, i prezzi,
soprattutto quelli dell’ipotetica OPA che si dice possa essere lanciata
dagli scalatori, non sembrano avere alcuna giustificazione economica,
limitandosi a riflettere solo la valenza “politica” del controllo di uno dei
maggiori quotidiani nazionali. I rischi per chi entrasse sul titolo ai
livelli attuali sono dunque notevoli, con un downside di almeno un 30% nel
caso in cui l’assalto fallisse ed RCS tornasse a scontare i semplici
“fondamentali”.
Quanto al valore estraibile da una BNL di turno a questi
prezzi, bisogna essere davvero ottimisti per giustificare in chiave
puramente economica l’interesse degli effettivi o potenziali compratori. La
differenza, oltre che la rilevanza, del caso Mediobanca-Generali è invece
che sono in campo valori ancora molto ragionevoli, il che dovrebbe
giustificare una più convinta scommessa su future evoluzioni della vicenda;
tenendo comunque presente che il motivo in grado di giustificare l’ulteriore
ascesa dei titoli in questione rimane soprattutto il tema del controllo.
L’azione Generali è sì salita ai massimi degli ultimi tre anni, ma viaggia
ancora su livelli molto distanti dai picchi di oltre 42 euro di fine 2000, e
almeno finora sembra riflettere solo la crescita di valore del portafoglio
investimenti e i progressi realizzati nell’attività tecnico-assicurativa,
danni in particolare. Ad oggi non si intravede insomma alcun rilevante
“premio scalata”, anche se un certo sostegno dal suo appeal speculativo
sembra essere già emerso proprio nelle ultime settimane. A frenare
l’entusiasmo sul titolo, che senza quel +12% da metà maggio ad oggi quale
effetto RCS o “Ricucci” sarebbe ancora sotto di quasi il 7% dai livelli
tutt’altro che travolgenti di inizio anno, sono le prospettive di crescita
per gli anni a venire, non così euforiche da giustificare particolari spunti
al rialzo.
Nei danni l’ipotesi di consenso è che il ciclo, almeno in rami
come l’auto, sia già al picco e che al più si possano difendere gli attuali,
buoni livelli di redditività; esistono per Generali ancora spazi di recupero
di efficienza, ma in buona parte sono già stati realizzati nel corso del
favorevole esercizio 2004. Nel vita i punti critici sono un più scarso
potenziale di crescita, rispetto al passato (salvo puntare sull’imminente
varo della riforma previdenziale e sulle presunte, miracolose ricadute per
le compagnie private), e il boom del mercato obbligazionario. La continua
discesa dei rendimenti, su livelli fino a pochi anni fa impensabili, sta
infatti mettendo sotto pressione i margini delle compagnie, facendo emergere
il problema di quelli minimi garantiti.
Proprio Alleanza, principale
controllata di Generali, è la realtà più alle prese con questo problema,
visto che attualmente il minimo garantito ai suoi assicurati è in media
vicino al 3,5%, un livello ora superiore persino al rendimento di un
decennale euro; non a caso, il portafoglio investimenti della compagnia
dovrebbe rendere nell’esercizio 2005 qualcosa come il 3,5%, ma un’ulteriore
riduzione degli yield di mercato, favorita dalla probabile discesa dei tassi
d’interesse euro, rischierebbe di comprimere questo risultato negli anni a
venire, costringendo la compagnia ad attingere risorse dalle riserve per far
fronte agli impegni verso gli assicurati.
Finora il conto economico è
riuscito persino a beneficiare della caduta dei rendimenti, potendo far
emergere utili da realizzo titoli sopra la pari; ma in prospettiva, con
l’esaurimento dello stock di titoli a più elevata cedola, questo vantaggio
tenderà a svanire e il problema dei minori rendimenti, se permanente, ad
emergere in pieno. La crescita del vita è inoltre sostenuta da accordi di
banca-assicurazione i cui margini di redditività sono già molto contenuti e
vanno verso un’ulteriore compressione. Certo, Alleanza non è rappresentativa
della situazione dell’intero gruppo Generali, che oltre tutto riflette anche
un ingente portafoglio danni; ma la pressione sui margini vita è un problema
sentito anche nel resto del gruppo.
Per chi segue il comparto da tempo, non sembra insomma questo il momento più
favorevole per investirci in maniera stabile, almeno guardando alle
prospettive di crescita; ben diversa era la straordinaria opportunità che si
aprì a fine 2002, con il settore in caduta libera sulle gravi difficoltà dei
mercati, e non a caso da allora le quotazioni di molti titoli, tra cui la
stessa Generali, sono ormai raddoppiate. La crescita frenata, che potrebbe
alla lunga trasformare il settore da comparto ad alta crescita a qualcosa di
più simile alle utilities, pur con tutti i rischi del ciclo finanziario, ha
comunque mantenuto le sue valutazioni su livelli ancora contenuti, almeno
rispetto all’esperienza storica, anche sotto il profilo patrimoniale. E nel
frattempo gli assetti di controllo, viste anche le recenti esperienze di
Piazza Affari, non sono più così granitici.
Rischi di downside modesti sui
fondamentali e potenzialità di natura speculativa molto elevate legate al
controllo (i livelli cui alla fine è arrivata la corsa alle banche ne sono
un esempio) ci sembra alla fine giustifichino ancora un’esposizione sul
titolo, a meno che non si voglia escludere a priori qualsiasi ipotesi di
potenziale movimento negli assetti azionari. Nel dubbio, varrebbe semmai la
pena sacrificare la controllata Alleanza, il cui potenziale, anche in chiave
speculativa, è molto più limitato, a fronte invece di ben maggiori rischi
collegati ad un’ulteriore discesa dei rendimenti obbligazionari, ipotesi che
noi da tempo condividiamo. Nel caso di Generali la combinazione di rischio e
rendimento atteso ci sembra invece soddisfacente, pur con l’avvertenza che
non è giustificata solo da considerazioni legate ai fondamentali.
Tutto
sommato per chi compra le RCS di turno a 5,80 euro e deve solo sperare
nell’effetto Ricucci, le prospettive sono molto più confuse ed incerte. Una
scommessa analoga si può fare, e a costi altrettanto contenuti, anche
sull’operazione Unicredit-Hypovereinsbank: anche qui il potenziale, rispetto
ai prezzi pagati per l’espansione, ci sembra di gran lunga superiore ai
rischi di non riuscita dell’integrazione o del rilancio delle attività in
Germania. Ma il mercato per un po’ forse farà ancora fatica a convincersene.
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